L'analisi

Aspettando ‘l’incidente’

23 giugno 2017
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È improbabile che Russia e Stati Uniti siano disposti o addirittura cerchino uno scontro militare diretto; ed è bene distinguere tra impennate retoriche dei portavoce e pianificazioni degli stati maggiori. Ma è pur vero che la frequenza degli “incontri ravvicinati” tra le rispettive forze aeree, l’estendersi delle aree di confronto, e soprattutto l’imprevedibilità delle mosse della Casa Bianca, impongono di mettere in conto l’eventualità di un “incidente” serio.

Ultimo, in ordine di tempo, il “contatto” sopra il Mar Baltico, l’altroieri, tra l’aereo su cui viaggiava il responsabile della Difesa russo Serghei Shoigu e un F-16 Nato, “convinto” a levarsi di torno da uno degli SU-27 russi di scorta al ministro. Prima ancora c’era stato l’avvertimento russo: ogni aereo che a ovest dell’Eufrate interferirà con l’aviazione russa impegnata nei cieli siriani in operazioni “antiterrorismo”, sarà considerato un bersaglio legittimo. Minaccia che seguiva l’abbattimento di un caccia di Damasco da parte dell’aviazione statunitense. E una volta ancora l’intesa concordata da Mosca e Washington per evitare incidenti di questa natura è stata denunciata.

Dal Baltico alla Siria: i due estremi di un lungo fronte “a bassa intensità”. Quello che ha fatto evocare a Stephen F. Cohen, editorialista per ‘The Nation’, la crisi dei missili a Cuba nel 1962. Un’analogia forse esagerata se la si intende come imminenza di uno scontro finale (non siamo ancora ai missili puntati, almeno non a così breve distanza), ma calzante se si pensa che anche oggi, data la personalità dei due che comandano a Washington e Mosca, la sfida è a chi farà il primo passo, indietro.

In effetti, pur su teatri differenti e con l’alternarsi di attori di scena in scena, tutto sembra tenersi: l’avanzamento della Nato a est, la destabilizzazione dell’Ucraina, il colpo di mano in Crimea, l’internazionalizzazione del conflitto siriano. Molto schematicamente: chi vince su un campo avrà argomenti pesanti da far valere sugli altri.

Una disputa, tuttavia, che contempla tante varianti e associa tali protagonisti, che sfuggirebbe anche al controllo del più acuto degli strateghi, figuriamoci a un vanesio millantatore come Trump, ma anche a un apparentemente abile scacchista come Putin. La rete di alleanze opposte tessute dai due tra Siria e Iraq (e che solo sommariamente può riassumersi con Usa/Arabia Saudita “versus” Russia/Iran) si basa su, e alimenta appetiti, rivendicazioni, sotto-alleanze mutevoli e rovesciamenti di fronte, che insieme formano un terreno in cui ogni passo può posarsi su un ordigno.

In questo senso, pur rimanendo calzante la definizione di “guerra per procura” (tra Usa e Russia) data al disastro siro-iracheno, potrebbe risultare corretta anche una interpretazione speculare, secondo i protagonisti locali si farebbero la guerra affidandone la conduzione a Washington e Mosca. Il risultato è la perpetuazione senza un esito visibile del conflitto in Siria (con la conseguente probabile sua estensione territoriale) e la moltiplicazione delle occasioni di scontro tra le due suddette potenze. Dovesse avvenire, sarebbero molti i conti da rifare…

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