laR+ Commento

Si fa presto a dire ‘pago in bitcoin’

Anche l’amministrazione cantonale accetterà, in futuro, dai cittadini piccoli importi in criptovalute per saldare diritti a lei dovuti

Presto questo logo anche per i servizi erogati dal Cantone
(Archivio Ti-Press)

Da domani non sarà possibile pagare i debiti che si hanno nei confronti dell’amministrazione cantonale in bitcoin. In realtà non sarà possibile nemmeno da dopodomani o nell’immediato futuro. Semplicemente è stato incaricato il Consiglio di Stato di avviare un progetto pilota che permetta il pagamento in bitcoin da parte dei cittadini debitori verso lo Stato che lo desiderano, incaricando però una società terza affinché venga annullato il rischio di cambio e incassato l’equivalente in franchi. In pratica non saranno i servizi dell’amministrazione ad aprire un wallet (un portafoglio digitale) su qualche piattaforma di scambio di criptovalute, ma un privato che accetterà i bitcoin e li trasformerà per conto dello Stato nei franchi necessari a saldare il debito, meno la provvigione per il servizio reso. Anche in questo caso non si sta parlando di cifre astronomiche, ma di importi fino a un massimo di 250 franchi. Sarà interessante vedere quanti saranno coloro ansiosi di liberarsi di bitcoin, pomposamente chiamato ‘l’oro digitale del ventunesimo secolo’, per pagare una multa per divieto di sosta. Insomma, siamo nel campo delle spese di cancelleria e di multe per infrazioni alle norme della circolazione stradale e poco altro. A Chiasso, primo Comune ticinese ad accettare bitcoin fino a mille franchi, per esempio, si contano sulle dita di una mano le transazioni in criptovalute effettuate negli ultimi anni. Non sappiamo quanti (pochi, probabilmente) hanno acquistato un biglietto ferroviario in criptovalute o qual è la percentuale del fatturato online di un grande magazzino realizzato con questo mezzo di pagamento. Ma ciò che interessa ai promotori politici del progetto è equiparare questo asset finanziario a quello di una moneta come le altre e che in realtà non lo è. È il riconoscimento pubblico che viene ricercato. Non è nemmeno verosimile che in questo modo si incentivi il nascente distretto FinTech (la tecnologia applicata alla finanza) che è altro rispetto alle derive e ai rischi insiti nelle monete virtuali. Per chiarire, un conto è la tecnologia blockchain, questa sorta di registro decentralizzato che permette di concludere e onorare contratti di qualsiasi genere, soprattutto di natura finanziaria. Pensiamo alle transazioni di borsa. Un altro è prendere l’aspetto più emotivamente visibile – il valore attribuito alla criptovaluta a cui istintivamente diamo una funzione di scambio al pari di un’altra moneta – spacciandolo per la panacea che servirà a rilanciare la piazza bancaria, in declino da anni per le ragioni ormai note. 

Il disegno è molto più ampio e ambizioso. In realtà gli adepti dei bitcoin e simili immaginano un mondo senza più autorità monetarie centrali dove l’emissione di moneta avviene solo attraverso astrusi algoritmi informatici sganciati dal controllo delle autorità pubbliche. Non è un mistero che i promotori, ancora anonimi, riuniti sotto lo pseudomimo di Satoshi Nakamoto abbiano inventato questo sistema di pagamento dodici anni fa in alternativa al circuito monetario e finanziario classico perché timorosi degli effetti inflazionistici delle politiche monetarie espansive delle banche centrali. Intanto le criptovalute si sono moltiplicate e sono diventate un mero strumento finanziario speculativo cooptato dal sistema globale che conta. Altro che ‘abbasso i banchieri centrali’.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE