È il messaggio natalizio della ‘pastora transfrontaliera’ di origini tedesche che esercita il suo ministero fra Como e Lugano

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione.
La pastora evangelica Anne Zell, tedesca, è cresciuta nella fede nella Chiesa evangelica regionale del Baden, nella quale è stata consacrata nel 1993 dopo aver frequentato diverse facoltà teologiche, tra cui Basilea, Vienna e Heidelberg. Nel 1995 si è trasferita in Italia come pastora delle Chiese valdesi e metodiste. Ha esercitato il suo ministero nelle Valli valdesi, nel Verbano, a Milano e a Brescia. Dal 2020 è pastora a Como e, da poco più di un anno, anche nella Chiesa evangelica riformata del Sottoceneri, occupandosi più specificatamente della comunità che si raduna a Vacallo. Vive a Cernobbio insieme a sua figlia Miriam di 19 anni.
“La pastora transfrontaliera”: questa definizione calza a pennello per Anne Zell, poiché esercita per metà tempo il suo ministero nella Chiesa valdese di Como e per l’altra metà nella Chiesa riformata del Sottoceneri. Allora ci incuriosisce innanzitutto sapere che significato riveste per lei questo doppio ruolo. «Pur conservando il mio incarico nella città lariana, ho risposto con molto piacere alla chiamata che mi è stata rivolta dalla Chiesa evangelica riformata nel Ticino, che cercava proprio una pastora donna che parlasse anche tedesco. Quest’ultimo aspetto era per me molto importante, perché da quando sono in Italia ho celebrato soprattutto in italiano. Ora ho invece la possibilità di tenere una volta al mese il culto a Lugano in tedesco. Per me è un po’ una sfida, ma anche un dono, un ritorno alle origini e questo è bello perché mi ricollega alle mie radici, alla mia spiritualità». Il suo cahier des charges non contempla solo la celebrazione dei culti, ma c’è anche un altro aspetto tutt’altro che trascurabile. «Effettuo molte visite nelle case per anziani e qui in Ticino ho scoperto che non pochi residenti sono originari della Svizzera tedesca. Naturalmente, a loro fa molto piacere parlare con me in tedesco, anzi tante volte anche in Schwizerdütsch, un dialetto che mi è abbastanza familiare perché sono cresciuta in una terra, precisamente nel Baden, che è proprio vicinissima al confine svizzero».
© Ti-Press / Elia BianchiMa è il momento di fare un passo indietro per sapere come è nato l’interesse di Anne per la teologia. «Nella mia famiglia si respirava già aria protestante: mio nonno era cantore, un vero e proprio ministero nelle Chiese luterane (era anche organista, insegnante e direttore del coro) e mi ricordo che mia nonna, che era stata cantante lirica, incominciava sempre le sue giornate interpretando un corale di Bach suonato al pianoforte. Questo mi è rimasto molto impresso. Da giovane, sono poi entrata nel gruppo dei monitori della scuola domenicale, il che mi ha permesso di partecipare a molti Kirchentag, i grandi raduni biennali della Chiesa evangelica tedesca. Inoltre, mi sono appassionata a questi temi anche grazie all’importante ruolo svolto da un pastore che è stato il mio insegnante di religione al liceo e che ha suscitato il mio interesse per la teologia». All’inizio dei suoi studi, però, non era ancora sicura di voler abbracciare il pastorato. «È una vocazione che è maturata piano piano, un po’ come un fiume che ogni tanto è sotterraneo e ogni tanto appare in superficie. Decisive sono state sicuramente le esperienze nelle comunità dove ho fatto i miei periodi di prova».
Poi, nel 1995, c’è stato l’arrivo in Italia, con il conseguente passaggio da una grande Chiesa di popolo a una piccola Chiesa minoritaria. «Da giovane (avevo 16 anni), un campo di lavoro mi aveva portata per una settimana nelle Valli valdesi del Piemonte, il che suscitò in me un grande interesse e il desiderio di ritornarvi. Dopo essere stata consacrata pastora, chiesi alla mia Chiesa due anni di congedo proprio per questo scopo. Successivamente ottenni una proroga e alla fine presentai la domanda – che venne accolta – di rimare definitivamente in Italia al servizio delle Chiese valdesi e metodiste, unite dal 1975 da un patto di integrazione. All’inizio dovetti anche imparare bene l’italiano, perché allora lo parlavo poco, ma le mie prime comunità diedero prova di una grande pazienza!». La Chiesa valdese (erede degli insegnamenti di Valdo di Lione, sorta in Italia nel secolo XIII e che poi ha aderito alla Riforma protestante nel XVI secolo) è così diventata a tutti gli effetti la sua Chiesa. «Mi sento molto legata a essa, alla sua storia, al suo modo di essere Chiesa e apprezzo in particolare il suo impegno per la giustizia, la libertà, i diritti umani, l’immigrazione».
L’Italia e il Canton Ticino, sebbene sempre più secolarizzati, sono storicamente ancora impregnati di cattolicesimo, basti pensare ad esempio alle festività religiose, alle tradizioni, alle chiese, alle cappelle o ai simboli religiosi disseminati sul territorio. «Questo per me non è stato un problema, perché mi sono sentita bene accolta dai cattolici e anche coinvolta ovunque io abbia esercitato il mio ministero, sia in Italia, sia in Ticino. A livello locale ho trovato molta amicizia e spirito di collaborazione. Per me l’ecumenismo è molto importante, soprattutto per le esperienze che ho fatto nei sette anni trascorsi a Milano nell’ambito del Consiglio delle Chiese cristiane del capoluogo lombardo, cui aveva dato un notevole impulso il cardinale Carlo Maria Martini».
Parlavamo prima di secolarizzazione, con le Chiese storiche – in particolare la Chiesa evangelica riformata in Svizzera, ma non solo – che continuano a perdere fedeli. «Le cause sono diverse e le Chiese dovrebbero interrogarsi di più sul loro modo di essere Chiesa, perché c’è anche un fenomeno inverso, quello delle piccole Chiese evangeliche libere, che invece vedono aumentare i loro aderenti. In realtà, c’è una forte richiesta di spiritualità».
Fra pochi giorni sarà Natale, per cui è inevitabile concludere questo piacevole incontro con Anne Zell chiedendole quale messaggio desidera rivolgere ai nostri lettori – credenti e non credenti - in questa occasione. «Quello di Natale è un messaggio di speranza, di pace, di luce che, nonostante tutto, vince le tenebre. A me è molto caro un canto di Avvento di Jochen Klepper, che dice: “La notte è avanzata, vediamo arrivare l’alba”. A noi, soprattutto in questo periodo, sembra di continuare a camminare nelle tenebre, tra guerre e violenze di ogni genere, ma abbiamo la certezza che l’alba, promessaci da Dio proprio a Natale, arriverà. E noi per primi dovremmo essere, nel nostro piccolo, portatori di luce».
© Ti-Press / Elia Bianchi