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Inquinamento… digitale

Consumi nell’ombra

L’era digitale e le sue connessioni
17 aprile 2021
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Home office, scuola a distanza, webinar, incontri virtuali: concetti forse sconosciuti ai più fino ad un anno fa, sono ora parte integrante della vita di tutti noi. Le restrizioni legate alla pandemia non hanno fatto che accelerare un trend noto da tempo, una corsa inarrestabile verso le cosiddette “tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (Ict) in un universo digitale in continua espansione. Questa transizione digitale è anche spesso considerata come uno strumento chiave per ridurre i consumi energetici della società moderna, permettendo un uso più efficiente delle risorse in diversi settori. Una videoconferenza sostituisce un inquinante viaggio in aereo, una casa “intelligente” regola i riscaldamenti e spegne le luci secondo necessità… sembrerebbe impossibile pensare di frenare il cambiamento climatico senza un ricorso massiccio alla tecnologia. Eppure, la verità è che fino ad oggi il mondo digitale ha perpetuato un modello di crescita ad alto consumo di risorse e gas serra. In altre parole, il crescente uso del digitale è legato a un serio impatto ambientale, anche se pericolosamente sottostimato. Qual è la vera impronta ecologica del digitale?

Consumi nell’ ombra

I consumi quantificati nelle bollette ricevute dall’azienda elettrica rappresentano l’energia utilizzata per far funzionare tutti i nostri apparecchi elettrici. Ma attenzione, i dispositivi digitali connessi a internet producono ulteriori consumi ben al di là del nostro contatore elettrico. Guardare per 10 minuti un video ad alta definizione, ad esempio, consuma 1500 volte più elettricità che la ricarica della batteria di uno smartphone. Com’è possibile? Internet è un sistema globale basato sull’incessante creazione, stoccaggio e acquisizione di nuovi dati (informazioni, documenti, servizi…), ma non è un luogo etereo e impalpabile dove tutto funziona come per magia. Questo traffico di dati è possibile solo grazie a giganteschi Data Center, infrastrutture fisiche allocate altrove composte da fibre ottiche, router, satelliti, cavi sul fondo dell’oceano, sterminati centri di elaborazione pieni di computer, che necessitano di colossali quantità di energia e sistemi di raffreddamento. I consumi elettrici “nascosti” dei nostri dispositivi digitali dipendono molto dal tipo di attività effettuate: scrivere e-mail genera un consumo di elettricità irrisorio se comparato al consumo generato quando invece attiviamo la geolocalizzazione, questo perché nel secondo caso provochiamo un continuo flusso di informazioni relative alla nostra posizione. Una vita connessa ha continuamente bisogno di energia, da dare in pasto ai Data Center gestiti da operatori come Apple, Google, Facebook, Microsoft o Amazon. E pochi di loro si curano di utilizzare energia pulita per le proprie operazioni.

Necessità di una ‘sobrietà digitale’

Smartphone, tablet, computer e TV sono tra gli oggetti più dispendiosi al mondo in termini di consumi energetici, non solo nel momento in cui li utilizziamo ma anche e soprattutto per quel che riguarda la loro produzione. Estrazione di materie prime, lavorazione, trasporto: produrre 1 grammo di smartphone consuma 80 volte più energia che produrre 1 grammo di un’automobile. Il loro smaltimento è altrettanto problematico: pochissimi paesi al mondo hanno impianti innovativi e norme all’avanguardia che permettono un riciclo non inquinante e pericoloso dei metalli che compongono questi oggetti. Insomma, l’attuale tendenza al sovraconsumo digitale non è sostenibile in rapporto alla fornitura di energia e materiali che essa richiede. Ma già a livello individuale si può fare qualcosa. L’organizzazione no-profit The Shift Project si batte per una transizione digitale moderata (o “digital sobriety”), incoraggiando gli utenti ad acquistare apparecchiature meno potenti, a ridurre il numero di dispositivi posseduti e a sostituirli il meno possibile, sfruttando invece al massimo il loro ciclo di vita. Cercare di ridurre gli utilizzi ad alta intensità energetica (evitare ad es. un invio compulsivo di video e immagini), nonché eliminare app inutili che si aggiornano in continuazione sono anche trucchetti facili da applicare ma con un grande impatto sui propri consumi. E soprattutto, ricordiamoci di riciclare! In Svizzera i rifiuti elettronici raccolti e destinati al corretto riciclaggio sono ancora solo il 68% della quantità totale di rifiuti elettronici generati (23,2 kg pro capite nel 2019).

Esperimenti bizzarri

Pelle verde e liscia cosparsa di macchie scure, occhi leggermente rivolti all’insù, zampe posteriori fortemente palmate: questa è sicuramente un rana verde. Ma di quale specie? Difficile dirlo con certezza: il gruppo delle rane verdi europee è composto da specie e forme ibride strettamente imparentate tra loro, morfologicamente molto simili e spesso insediate negli stessi habitat. In Svizzera solo due specie sono autoctone: la Rana dei fossi, una specie “pura” a tutti gli effetti e solitamente riconoscibile da macchie gialle nella zona inguinale, e la Rana verde minore. Quest’ultima è in realtà un ibrido tra la stessa Rana dei fossi e la Rana verde maggiore, specie introdotta in Svizzera nel XX secolo per la produzione di cosce di rana. Lo studio di questi ibridi, a livello genetico, è davvero interessante. Nonostante il loro Dna sia composto dai genomi di entrambe le specie parentali, durante la produzione delle cellule sessuali (ovuli e spermatozoi) nella Rana verde minore avviene uno strano processo chiamato ibridogenesi, che porta alla distruzione selettiva dell’intero codice genetico proveniente dalla Rana dei fossi. Se individui di Rana verde minore si accoppiano tra loro, danno dunque origine a una prole che eredita unicamente materiale genetico tipico della Rana verde maggiore. Questo materiale viene però trasmesso da una generazione all’altra per clonazione, senza alcuna rimescolanza genetica. Ciò rende impossibile la sopravvivenza ai nuovi nati, che muoiono infatti quasi subito, già allo stadio di piccoli girini. Per sopravvivere, la Rana verde minore deve dunque accoppiarsi con la Rana dei fossi: ciò riunisce nuovamente i patrimoni genetici di Rana verde maggiore e Rana dei fossi, dando come prole appunto l’ibrido Rana verde minore.

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