L’Unione svizzera delle arti e mestieri sostiene l’iniziativa ‘200 franchi bastano!’. Il presidente Fabio Regazzi: ‘opportuna’ un’alternativa parlamentare
Fabio Regazzi, su una scala da 1 a 10 qual è l’indice di gradimento attuale della Ssr in Parlamento?
Non supera il 5. E la Ssr dovrebbe porsi qualche domanda. Non ha fatto molto per aumentare il grado di accettazione. Anzi, ho l’impressione che abbia scontentato un po’ tutti.
A cosa si riferisce?
Nel fronte ‘borghese’ – non solo nell’Udc, anche nei partiti moderati – l’insofferenza è palpabile. È chiaro che alla Ssr – alla Rsi in particolare – c’è un marcato orientamento a sinistra nel settore dell’informazione. Si dirà: non è dimostrabile. Ma è così, c’è poco da girarci intorno. Il che non significa che sia tutto negativo. Anzi! Alla Rsi fanno bene diverse cose.
Tutte le unità aziendali della Ssr stanno già stringendo la cinghia. E la nuova direttrice generale Susanne Wille, col progetto ‘Enavant Srg Ssr’, ha annunciato “la più grande trasformazione nella storia dell’azienda”, con 270 milioni di franchi di risparmi entro il 2029. Come fa a sostenere che la Ssr non stia facendo abbastanza?
Non contesto i buoni propositi. E so che serve tempo per attuare simili progetti. Detto questo, sin qui di cambiamenti significativi non ne ho visti. Ma sono pronto a lasciarmi sorprendere.
Srf, Rts e Rsi hanno già annunciato risparmi e una riduzione dei posti di lavoro.
Se non ho capito male, alla Rsi si parla di cinque licenziamenti nel 2025.
Nel 2026 ce ne saranno altri.
D’accordo. Non sono così cinico da rallegrarmene. Però: cinque licenziamenti su mille e rotti dipendenti... In un’azienda ‘normale’, nessuno si scandalizzerebbe. Anche la Ssr, come qualsiasi altra azienda e la stessa Confederazione, deve risparmiare: non ci vedo niente di straordinario.
Stiamo parlando di un’azienda di servizio pubblico, non di un’azienda qualsiasi: fa una bella differenza.
No, non fa una bella differenza. Ogni azienda, privata o pubblica che sia, deve adattare i propri costi alle risorse disponibili.
Le risorse, appunto. Non sarebbe logico parlare prima dei contenuti (la concessione), anziché anteporre i soldi (il canone)?
Su questo posso pure essere d’accordo. Bisognerebbe dapprima definire il ‘perimetro’ dell’azione della Ssr, e solo in seguito – in funzione dei paletti che sono stati messi – ragionare sull’entità del canone. Ma in politica non tutto va secondo logica. Piaccia o non piaccia, c’è un’iniziativa popolare sul tavolo: non la possiamo semplicemente mettere in un cassetto. Oltretutto non ci sarebbe il tempo per avviare un complicato e lungo dibattito sulla futura concessione.
Il Consiglio federale – con una modifica dell’ordinanza – vuole abbassare da 335 a 300 franchi il canone per i privati ed esentare l’80% delle aziende. Il Parlamento deve presentare un controprogetto all’iniziativa ‘200 franchi bastano!’?
Sì. Una modifica della legge – elaborata dal Parlamento e soggetta a referendum facoltativo – rappresenta una base più solida di una revisione dell’ordinanza, che il prossimo consigliere federale di turno potrebbe a sua volta modificare. Al momento non riesco a immaginare come l’iniziativa possa essere ritirata, per cui – volenti o nolenti – andremo a votare. L’iniziativa Ssr è perlomeno insidiosa: non va presa sottogamba. Opporle solo il controprogetto ‘implicito’ del Governo, potrebbe non bastare. Chi pensa di poter dormire sonni tranquilli solo perché la precedente [detta ‘No Billag’, ndr] è stata nettamente respinta [nel 2018 col 72% dei voti, ndr], si sbaglia. Allora si parlava di abolire il canone, adesso di ridurne i proventi: siamo su due piani del tutto diversi. E poi lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, non è più lo stesso.
Cioè?
In pochi anni le modalità di consumo dei media – soprattutto da parte dei giovani – sono molto cambiate. E l’insofferenza per una certa mania di grandezza della Ssr si è diffusa.
Alla fine il controprogetto indiretto potrebbe non discostarsi granché dalla modifica dell’ordinanza. Non rischia di essere un esercizio inutile?
Dal punto di vista istituzionale, è comunque opportuno che il Parlamento elabori – a prescindere dai suoi contenuti – un controprogetto indiretto vero e proprio, che possa essere sottoposto al popolo.
La commissione competente del Nazionale ha abbozzato un controprogetto che prevede, tra l’altro, l’esenzione dal canone per tutte le imprese o per la stragrande maggioranza di esse. Si parte col piede giusto?
Da quando il canone per le aziende è stato introdotto, nel 2019, l’Usam [che assieme a Udc e Giovani liberali radicali ha raccolto le firme per l’iniziativa, ndr] ne ha sempre chiesto l’abolizione per le piccole e medie imprese (Pmi). Si tratta di una doppia imposizione che non sta né in cielo né in terra, perché gli imprenditori e i loro dipendenti già lo pagano come privati. Fintanto che il canone per le aziende – per le Pmi in particolare – rimarrà in vigore, sosterremo l’iniziativa. Il mio auspicio, e le premesse ci sono, è che si trovi il modo per esentare, nella peggiore delle ipotesi, quantomeno le Pmi. E a noi (ma parlo a titolo personale) una simile soluzione potrebbe andar bene.
Agli Stati le resistenze a un controprogetto – o perlomeno a uno troppo incisivo – dovrebbero essere più forti. Il dossier arriva lunedì in commissione. Come la vede?
Alla Camera dei Cantoni non di rado si riesce a pensare fuori dagli schemi. Non escludo che possa saltar fuori una soluzione creativa. Staremo a vedere.