Svizzera

Svizzera fuori dalla black list: ecco perché era ora

Samuele Vorpe (centro competenze tributarie Supsi) spiega perché la norma che colpisce gli italiani residenti in Svizzera fosse ‘diabolica’ e superata

In sintesi:
  • L'intesa sullo scambio di informazioni fiscali rende la norma del 1999 ingiustificata
  • Dal 2015 il fisco italiano può comunque ottenere tutte le informazioni che gli servono per verificare residenze fittizie
(Ti-Press)
20 aprile 2023
|

Ora il fisco italiano non potrà più pretendere dagli italiani residenti in Svizzera di dimostrare che nella Confederazione ci abitano davvero. È questa, in soldoni, la conseguenza dello stralcio del nostro Paese dalla lista nera italiana relativa alla tassazione delle persone fisiche.

La consigliera federale Karin Keller-Sutter, a capo del Dipartimento federale delle finanze (Dff), e il ministro delle Finanze italiano Giancarlo Giorgetti hanno firmato una dichiarazione politica volta a “risolvere le restanti questioni fiscali” tra i due Paesi, dopo che una Roadmap del 2015 aveva già avviato un ampio cantiere. Svizzera e Italia hanno trovato anche una soluzione transitoria in merito all’imposizione del telelavoro per i lavoratori frontalieri valida fino al 30 giugno. “La dichiarazione dirime finalmente due importanti questioni fiscali aperte tra Svizzera e Italia”, ha affermato Keller-Sutter.

L’onere della prova

A salutare con favore il (tardivo) passo avanti è Samuele Vorpe, che ci spiega anzitutto perché la lista nera generasse problemi: «La black list colpisce i cittadini italiani che hanno trasferito la loro residenza dall’Italia in un Paese iscritto in tale lista, stabilita da un decreto ministeriale del 1999», precisa il responsabile del Centro di competenze tributarie della Supsi: «L’articolo 2 comma 2-bis del Testo unico delle imposte sui redditi ribalta, infatti, sui cittadini italiani che si trasferiscono in questi Paesi l’onere della prova: sono loro a dover dimostrare a fini fiscali, qualora glielo chieda l’Agenzia delle entrate, che sono effettivamente residenti in Svizzera. Se non ci riescono – fornendo laddove richiesta ogni sorta di giustificativi, bollette, attestati di domicilio… – il fisco italiano continua a considerarli residenti fiscalmente in Italia e a tassarli di conseguenza. Con l’uscita dalla black list, finalmente l’onere probatorio è correttamente assegnato all’Agenzia delle entrate: sta a lei dimostrare, se necessario e possibile, che la residenza di un cittadino italiano in Svizzera è fittizia».

Norma ‘diabolica’ e anacronistica

Fino a qualche anno fa potevano anche esserci buone ragioni per ribaltare una delle massime universali dello Stato di diritto, quella per cui appunto “onus probandi incumbit ei qui dicit” (l’onere della prova spetta a chi afferma, come dire che se il fisco mi accusa di non essere davvero in Svizzera, dev’essere lui a dimostrarlo). Ma ora non più. Così Vorpe: «Questa norma diabolica poteva avere senso solo fino al 2015, ovvero fino a quando la Svizzera non forniva comunque informazioni fiscali all’Italia, sicché non vi era altro modo per ottenerle se non esigerle direttamente dai propri cittadini. Da allora, però, lo scambio di queste informazioni su richiesta è garantito, inoltre è finito il segreto bancario ed è in vigore lo scambio automatico delle informazioni bancarie. Dunque c’è da chiedersi perché – se non per qualche forma di inspiegabile ritorsione – ci siano voluti ben otto anni per correggere un semplice decreto ministeriale, il cui superamento non richiedeva neppure un passaggio in parlamento e per cui l’impegno politico italiano è già attestato nella Roadmap del 23 febbraio 2015 in materia fiscale e finanziaria tra la Svizzera e l’Italia. Con Singapore, ad esempio, lo stralcio dalla lista italiana era avvenuto in modo immediato all’adeguamento dei criteri di scambio informativo».

Sul lavoro a distanza rimane l’incertezza

La nuova intesa mette anche una pezza alla questione del telelavoro per i frontalieri. Con la scadenza a inizio febbraio del precedente accordo siglato all’inizio della pandemia di Covid-19, infatti, il frontaliere che lavorava da casa si era trovato con le spalle scoperte: rischiava di essere tassato come se lavorasse in Italia, peraltro integralmente e non solo per le giornate di lavoro casalingo, vedendosi di fatto quadruplicare le tasse. Quanto all’azienda che lo impiega, il rischio era quello che il lavoratore fosse trattato alla stregua di una sede in territorio italiano, una “stabile organizzazione” soggetta a sua volta alla fiscalità d’oltreconfine. Il nuovo accordo – retroattivo al primo febbraio scorso e valido fino al 30 giugno prossimo – esclude di fatto questo trattamento, e sarà firmato non appena l’Italia avrà varato le basi legali per lo stralcio della Svizzera dalla black list: numerosi osservatori notano come proprio la soluzione del problema del telelavoro, cara a Giorgetti, sia stata sfruttata dalla Svizzera come ‘do ut des’ per sistemare anche la questione della lista nera, marginale forse, ma comunque spiacevole per Berna dal punto di vista diplomatico e istituzionale.

Troppo poco, troppo tardi? Per Vorpe «viene da chiedersi perché l’accordo sul telelavoro sia stato prorogato solo fino a fine giugno, dopo mesi di incertezze. Mi auguro che ci sia una soluzione pronta e definitiva per il primo luglio, che forse si sarebbe già dovuta preannunciare per evitare ulteriori incertezze. Con la Francia si è trovata una soluzione di più lungo periodo». Secondo alcune indiscrezioni, i termini stipulati in via temporanea dovrebbero ammettere ed equiparare al lavoro nella sede svizzera il telelavoro fino a due giorni per settimana, proprio come in Francia, ma si è ancora in attesa di conferme.

Durante il colloquio con Keller-Sutter, Giorgetti si è inoltre dimostrato fiducioso che nelle settimane a venire – probabilmente già la prossima per quanto riguarda la Camera – il parlamento italiano ratificherà il nuovo accordo relativo all’imposizione dei frontalieri sottoscritto nel 2020, che in Svizzera è già stato approvato dalle Camere federali nel marzo del 2022. L’intesa prevede che la Confederazione trattenga l’80% dell’imposta alla fonte sui redditi dei frontalieri che lavorano in Svizzera. I “nuovi” frontalieri – cioè quelli che lavoreranno nella Confederazione per la prima volta dopo l’entrata in vigore del trattato – saranno inoltre soggetti alla tassazione ordinaria in Italia, che dovrà eliminare la doppia imposizione ove necessario.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE