Al ‘capo patriarcale’, che doveva rispondere delle accuse più gravi, pena di 150 giorni di carcere sospesa per quattro anni
I cinque uomini, un 65enne e i suoi figli, accusati di aver tenuto per anni in condizioni di schiavitù quattro donne nel Giura bernese sono stati condannati dal Tribunale regionale di Moutier (BE) a pene detentive sospese. Gli imputati sono stati prosciolti dal reato di tratta di esseri umani e violenza carnale.
Stando all’accusa, la famiglia di origine balcanica avrebbe organizzato la propria vita secondo il Kanun, un antico codice secolare albanese, con il genitore come capo patriarcale. Per i quattro figli sarebbero state predisposte mogli minorenni provenienti a loro volta dai Balcani e fatte arrivare nel Giura bernese.
Stando alle 34 pagine dell’atto d’accusa, le donne venivano picchiate, dovevano essere sessualmente compiacenti e difficilmente potevano avere contatti con persone esterne. Dopo anni passati paralizzate dal clima di terrore instaurato, nel 2019 sono riuscite a fuggire, denunciando poi i fatti. Numerosi i reati addebitati ai membri della famiglia. Inizialmente gli imputati esano accusati di tratta di esseri umani, matrimonio forzato, violenza carnale e atti sessuali con fanciulli. Già durante la requisitoria, però, il procuratore aveva lasciato cadere le accuse più gravi – tratta di esseri umani e violenza carnale – a causa dell’assenza di prove.
Oggi il tribunale ha condannato il padre, che doveva rispondere delle accuse più gravi, a una pena detentiva di 150 giorni, sospesa per quattro anni, per aver infranto la legge sugli stranieri. Non sarà espulso dalla Svizzera.
Uno dei figli è stato condannato a una pena pecuniaria di 100 aliquote giornaliere sospese per due anni per ingiuria e minaccia. Un altro a 120 giorni sospesi per tre anni per atti sessuali con fanciulli.
Gli imputati hanno potuto beneficiare della presunzione di innocenza. "Serve una base solida per rinchiudere delle persone", ha detto il presidente del tribunale Josselin Richard giustificando la concessione della condizionale. "I giudici – ha proseguito – si sono trovati di fronte a versioni contraddittorie, quelle degli imputati e quelle delle vittime". Richard ha spiegato come questi "gruppi omogenei" abbiano avuto tutto il tempo di mettersi d’accordo.
Il tribunale ha infatti ritenuto che le dichiarazioni della parte lesa sono evolute in modo da aggravare le accuse contro i rispettivi coniugi e che fossero talvolta ambigue o non credibili. Se fossero state riconosciute vittime di tratta di esseri umani, le mogli avrebbero potuto beneficiare di un permesso di soggiorno.
Nel pronunciare la sentenza, Richard non ha tuttavia risparmiato le critiche nei confronti degli imputati. "Hanno una concezione distorta della casalinga, i mariti sono influenzati dalle loro tradizioni". Per il presidente del tribunale, gli imputati hanno dato l’immagine di una mancata integrazione in Svizzera essendosi prevalentemente concentrati sulla famiglia e la loro comunità.