Svizzera

Appesero lo striscione ‘Kill Erdogan’, da martedì a processo

I quattro imputati, chiamati a presentarsi davanti alla giustizia bernese, nel 2017 protestarono durante una manifestazione per la democrazia in Turchia

(Keystone)
16 gennaio 2022
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La giustizia bernese sarà occupata martedì e mercoledì a esaminare gli eventi del 25 marzo 2017 a Berna, quando presunti attivisti di sinistra hanno esposto uno striscione “Kill Erdogan” durante una manifestazione per la democrazia in Turchia. Quattro persone saranno sul banco degli imputati, in particolare a causa degli interventi diplomatici di Ankara in Svizzera.

La manifestazione di migliaia di persone per la pace, la libertà e la democrazia in Turchia è arrivata otto mesi dopo un fallito tentativo di colpo di stato e tre settimane prima di un referendum per accordare più potere al presidente Recep Tayyip Erdogan. L’azione è stata organizzata da associazioni curde, dal Ps e dai Verdi come da altre associazioni.

Circa 150 persone, che quasi cinque anni fa si erano riunite al centro culturale alternativo Reitschule di Berna, nei pressi della stazione, si sono unite alla dimostrazione nel corso del pomeriggio, brandendo lo striscione che raffigurava la testa del presidente turco e una pistola puntata contro di lui con la scritta “Kill Erdogan with his own weapons!” (“Uccidete Erdogan con le sue stesse armi!”). Il “Gruppo di giovani rivoluzionari di Berna” (“Revolutionäre Jugendgruppe Bern”) ha poi rivendicato la responsabilità del manifesto.

Lo stesso giorno della dimostrazione, la Turchia ha protestato presso il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) e ha convocato la sostituta dell’ambasciatore svizzero ad Ankara. C’è stata anche una conversazione telefonica tra i due ministri degli affari esteri. La Turchia ha chiesto un’indagine ed Erdogan ha detto che la Svizzera doveva cessare di sostenere le organizzazioni terroristiche.

All’indomani della manifestazione, la Procura di Berna ha aperto un’inchiesta penale per sospetta pubblica istigazione a un crimine o alla violenza. Questo procedimento ha portato circa un anno fa, secondo gli imputati, a quattro decreti d’accusa, contestati dagli interessati. Da qui il processo che si terrà martedì e mercoledì a Berna e che prenderà in considerazione anche altre accuse come sommossa e disobbedienza a decisioni dell’autorità.

Il processo come scena politica

I quattro imputati vogliono dare al processo “un contenuto politico”, ha detto ai media un comitato di sostegno costituito per l’occasione. “È Erdogan che è sotto processo”, hanno scritto su un conto Twitter appositamente creato.

I circoli autonomi di sinistra a Berna sostengono da tempo l’opposizione in Turchia e i movimenti curdi. Già prima del processo, il comitato di sostegno e gli avvocati degli imputati attaccano il Dfae e il Ministero pubblico. L’avvocato zurighese Bernard Rambert, che rappresenta uno dei sospettati, ha detto: “Accusandoli, la Procura capitola di fronte alle pressioni del Dfae, che si è dimostrato uno strumento obbediente del despota del Bosforo”.

Contattato da Keystone-Ats, il Dfae sottolinea che il principio della separazione dei poteri vieta qualsiasi ingerenza nei procedimenti giudiziari. Non ha influenzato in alcun modo l’inchiesta ed è stato informato solo del suo stato di avanzamento. Dalla documentazione emerge che il Dfae ha contattato sei volte la polizia cantonale bernese e il Ministero pubblico per informarsi sullo stato del procedimento.

Il procuratore generale di Berna indica anche che secondo il codice di procedura penale, l’ufficio del pubblico ministero è autorizzato a informare il pubblico sui procedimenti in corso. Questo vale soprattutto per un caso penale di particolare importanza. I media hanno spesso fatto uso di questa disposizione e hanno chiesto informazioni. Alle domande del Dfae il Ministero pubblico ha risposto solo che l’inchiesta era ancora pendente.

Processo in condizioni speciali

Questo processo si tiene in condizioni particolari: l’incaricato dell’inchiesta ha escluso il pubblico dalle udienze, senza dare per ora alcuna spiegazione.

I rappresentanti dei media possono partecipare solo se firmano preventivamente una dichiarazione in cui si impegnano a non rivelare i nomi delle persone coinvolte o qualsiasi informazione che permetta di trarre conclusioni sulle attività professionali dei querelanti, dei testimoni o dei sospettati. Se lo fanno, rischiano una denuncia per disobbedienza a decisioni dell’autorità.

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