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Il dramma umano e sportivo di Monica

Il 30 aprile 1993 la serba Seles venne pugnalata da uno spettatore che la odiava perché aveva tolto a Steffi Graf il primo posto nel Wta

In sintesi:
  • L'aggressione segnò pesantemente la vita e la carriera della tennista serba, che non riuscì mai a tornare davvero quella di prima
  • Il potenziale omicida, al termine di un processo molto chiacchierato, venne rilasciato e condannato solo a due anni con la condizionale
29 aprile 2023
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Dopo uno scambio vinto con autorevolezza e ricco di colpi a due mani sia col diritto sia col rovescio – che sono un po’ il suo marchio di fabbrica – la diciannovenne Monica Seles va a sedersi per la pausa che precede il cambio-campo. La superiorità della serba nei confronti della bulgara Magdalena Maleeva è piuttosto evidente: ha vinto 6-4 il primo set e, nel secondo, si trova in vantaggio 4-3. Per colei che domina il tennis mondiale ormai da quasi tre anni, dunque, pare un pomeriggio di ordinaria amministrazione, con quel quarto di finale destinato a chiudersi con un comodo successo.

L’aggressione

Sugli spalti c’è un bell’andirivieni, la gente approfitta dell’interruzione per correre a prendersi qualcosa di fresco da bere: fa caldo, ad Amburgo, il 30 aprile del 1993. In quella confusione, nessuno nota l’individuo che, con una borsetta verde a tracolla, scende tutti i gradini, raggiunge il campo e si avventa – da dietro – sulla Seles che, dopo aver risistemato le corde alla racchetta, ora si sta dissetando da un bicchierone di carta. Succede tutto in un lampo: una lama si infila nella schiena della tennista, in alto, fra le spalle. La ragazza urla e, prima che il tizio possa affondare un’altra stoccata, per fortuna viene bloccato – con un braccio attorno alla gola – da un addetto alla sicurezza. Dalle mani, qualcuno riesce a strappargli il lungo coltello da cucina con cui ha tentato di uccidere la campionessa. Ricevuta la pugnalata, per fortuna non troppo profonda, Monica si è girata, riconoscendo nel suo assalitore l’uomo col cappello da baseball che ultimamente incrocia spesso nei suoi stessi alberghi e che, più di una volta, ha intravisto ai suoi allenamenti.

Per i primi istanti, la ragazza resta in piedi mentre i membri del suo staff – il fratello e la sua fisioterapista di fiducia – le prestano le prime cure, ma poi sente cedere le gambe e si lascia adagiare sulla terra rossa. Cerca di allungare una mano dietro la schiena, per sincerarsi della gravità di ciò che le è successo, ma la ferita è difficile da raggiungere. Smaltita la scarica di adrenalina, inizia a tossire, a tremare e scoppia a piangere.

L’arbitro principale, intanto, con calma olimpica chiede al microfono l’intervento di un medico e ordina ai raccattapalle di portare ghiaccio e asciugamani, di cui attorno al campo fortunatamente c’è abbondanza. Nello stesso momento l’attentatore, tipica camicia pacchiana tedesca e pelata messa in mostra da un lungo riporto che ormai non copre più nulla, viene trascinato via e consegnato alle forze dell’ordine. Infine, ricevuta la prima assistenza, Monica viene portata fuori in barella fra gli applausi del campo centrale del Rothenbaum.

L’attentatore

Il mancato assassino si chiama Günter Parche e fa il tornitore. È tedesco e dimostra ben più dei 39 anni che ancora deve compiere: pare almeno sessantenne. Tifosissimo di Steffi Graf, ha iniziato a odiare Monica Seles tre anni prima, quando appena sedicenne era riuscita a Berlino a sconfiggere la sua beniamina. Parche racconterà poi che l’esito di quel match lo aveva quasi convinto a suicidarsi per la disperazione, ma di averci poi ripensato: sarebbe infatti stato meglio, secondo lui, uccidere la Seles, che aveva osato minare la superiorità della Graf. Per qualche tempo, era rimasta soltanto un’idea, ma poi – quando Monica riuscì addirittura a togliere a Steffi la prima posizione delle classifiche mondiali – aveva deciso di farlo sul serio. E così, aveva cominciato a pedinarla e a studiare un piano per realizzare la sua missione criminale.

Destinata a regnare

Al momento dell’attentato, di cui proprio domani ricorre il trentennale, Monica Seles domina le classifiche da oltre due anni. Non ancora ventenne, negli ultimi 25 mesi ha vinto la bellezza di 8 titoli dello Slam (3 volte a Parigi, idem in Australia e 2 trionfi allo Us Open) e ha raggiunto 33 finali (vincendone 32) nei 34 tornei che ha disputato. Nel suo quadriennio da professionista, ha già messo in bacheca 90 titoli. La sua tirannia sportiva è totale, e nessuna delle sue avversarie pare in grado di tenerle testa. Nemmeno la stessa Graf, che ha parecchio subito lo shock della detronizzazione. All’inizio del 1993 Monica ha vinto per la terza volta consecutiva in Australia e molti fra gli addetti ai lavori sono pronti a scommettere che alla fine dell’anno la ragazza di Novi Sad si porterà a casa il Grande Slam. L’aggressione subita ad Amburgo, dunque, è giunta proprio nel momento migliore di una carriera destinata a riscrivere la storia stessa della disciplina.

Un mondo che si sbriciola

Invece, purtroppo, l’agire scellerato di Günter Parche segna in pratica la fine della straordinaria avventura della diciannovenne Monica Seles nell’Olimpo del tennis. La convalescenza, il terrore che qualcun altro possa tentare di ammazzarla e la comprensibilissima fragilità fisica e psichica post-aggressione impediscono alla Seles di tornare a giocare per oltre due anni. E, quando lo farà, ovviamente nulla sarà più come prima. Quella lama lunga 23 centimetri non ha leso soltanto un fascio di muscoli, ma l’intero equilibrio di una ragazza ancora giovane e, a dispetto dei suoi successi, vulnerabile come tutte le sue coetanee. Testa e fisico non le forniscono più le risposte e l’affidabilità a cui si era abituata nel corso di quel suo strepitoso inizio di carriera, e così entra in una crisi profonda che sfocia in gravi disturbi alimentari – anoressia e bulimia – che per anni la faranno periodicamente ingrassare a dismisura e che la indurranno a odiare un corpo in cui non si riconosce più.

Un processo ridicolo

A render ancor più difficile la vita di Monica, nei mesi successivi all’aggressione, ci si mettono pure i giudici del processo contro Günter Parche, che ritengono il potenziale assassino un semplice mitomane, per giunta profondamente pentito di ciò che ha fatto, e che lo condannano a una pena ridicola: due anni con la condizionale. Parche, in pratica, è lasciato libero di tornare alla sua vita: né carcere né manicomio. Pazzesco. Il dibattimento, oltretutto, scatena anche incidenti di carattere diplomatico. L’accoltellatore, infatti, non si professa soltanto tifoso della Graf, ma aggiunge di odiare profondamente i serbi. La Guerra dei Balcani è in pieno svolgimento, e il fatto che la Giustizia tedesca non ritenga il caso di punire le idee e i comportamenti di Parche crea livore a Belgrado e imbarazzo nella Germania da poco riunificata. ‘Una pugnalata alla nostra Nazione’, titola il Vecernje Novosti, aggiungendo che quanto successo ad Amburgo – oltre che mancato assassinio – era stato pure un attentato politico.

Intanto, oltre che col timore derivante dal sapere che il suo potenziale killer è stato lasciato libero – e dunque di essere di nuovo colpita –, la Seles deve fare i conti pure con l’indifferenza, o addirittura l’ostilità, del mondo del tennis. Tutte le sue colleghe infatti, tranne l’argentina Gabriela Sabatini, rifiutano la proposta della Wta di congelare il ranking della serba fino al suo ritorno alle competizioni. Alla faccia della solidarietà muliebre: iene e grandi squali bianchi sarebbero stati forse più clementi. Monica si ritrova dunque cancellata, respinta, delegittimata: l’intento di Günter Parche si era infine realizzato, benché in maniera diversa da come l’aveva pianificato.

Il ritorno

La serba impiegherà oltre due anni, fra mille peripezie di ogni genere, a tornare in campo. Lo farà nel luglio del 1995 ad Atlantic City, per un’esibizione contro Martina Navratilova. La Wta intanto – di nuovo fra mille proteste – per fortuna ha deciso autonomamente di reintegrare Monica facendola ripartire dalla vetta delle classifiche, assegnandole il numero 1 bis, dietro alla Graf. Ciò le consente, poche settimane più tardi, di guadagnarsi la finale dell’Open statunitense, dove viene sconfitta – con la complicità di clamorosi errori arbitrali – naturalmente dalla solita Graf.

La classe della Seles – affinata già da quando aveva 9 anni nella celebre accademia di Nick Bollettieri in Florida – era dunque rimasta la stessa di sempre, tanto che l’anno successivo (1996) la ragazza nata sulle rive del Danubio tornava a trionfare in uno Slam, firmando il suo quarto suggello in Australia. A cambiare, purtroppo, era stata la sua forza mentale, che dopo la maledetta coltellata di Parche, comprensibilmente, non fu mai più la stessa. Monica, pur con tutti i guai passati, rimase nella top-10 mondiale fino al giorno del suo ritiro, avvenuto nel 2003. Ma appare evidente a tutti che, senza ciò che accadde il 30 aprile del ’93, avrebbe con ogni probabilità stabilito nel mondo del tennis una quantità di record che oggi possiamo soltanto ipotizzare. Günter Parche, invece, è morto sessantottenne lo scorso autunno nella casa di cura della Turingia in cui, dopo un paio di ictus, viveva ormai da quattordici anni.

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