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Nole, Rafa e Roger fra statue, garra, Debussy e heavy metal

Il dominio nel tennis di Federer, Djokovic e Nadal analizzato da prospettive inconsuete in una recente pubblicazione del saggista Sandro Modeo

9 marzo 2023
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"I tre volti di una trimurti divina e quelli di un Lucifero bulimico che si è nutrito di tutti gli altri tennisti di un’intera generazione": sono Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic, a cui lo scrittore, saggista e consulente editoriale Sandro Modeo dedica un saggio, I tre, (pubblicato da 66thAND2nd, casa editrice sensibile agli sguardi laterali e non convenzionali sullo sport), talmente denso di informazioni e rimandi da meritare una lettura attenta, centellinata e paziente, agevolata da un silenzio claustrale e dalla predisposizione all’apprendimento di un dottorando.

È sufficiente, per farsene un’idea, un’empirica analisi a campione, svolta col metodo aleatorio dell’apertura del libro a caso. A pagina 71, per esempio, si ragiona dell’equilibrio neuropsicologico alla base dei successi e della longevità agonistica dei tre fuoriclasse. L’espressione con cui gli storici dell’arte tedeschi, dopo la riscoperta della statuaria classica, ne sintetizzarono la compresenza di passionalità e compostezza ("Nelle vene del marmo scorre la lava"), viene adattata alla capacità di Federer di dissimulare l’ambizione e la ferocia nell’amabile contegno di una sorridente imperturbabilità alla Stefan Edberg. Con riferimento agli altri due, colpisce poche righe più sotto il condivisibile fastidio dell’autore verso "quelle evasività enfatico-retoriche" buone per riempire le bocche di telecronisti superficiali o per sciogliere le dita di articolisti frettolosi, "a base di eroismo, tigna, capacità di soffrire infinita o, a sintesi, garra".

Come Guardiola e Klopp

"Quei tratti psico-caratteriali, infatti, hanno a loro volta basi genetiche, innate, configurazioni neuroanatomiche e dinamiche neurobiologiche", che si possono intensificare e acuire, e non certamente creare dal nulla né tirare fuori con eroici slanci sentimentali o, come si usa dire con un’orrida metafora dal vago sapore di atletica leggera, gettando il cuore oltre l’ostacolo. Questa è la cifra di Modeo: anziché percorrere i consueti, prevedibili e consolatori binari dell’aneddotica, indagare a fondo ciò che altri darebbero pigramente per scontato, scavare ed esplorare con una strumentazione che pochi sono in grado di adoperare. E magari attingere al confronto con altre discipline: una nuova apertura casuale ci porta a pagina 105, in cui il confronto tra Manchester City e Liverpool aiuta a comprendere non solo alcune differenze di gioco tra Federer e Nadal, ma anche il modo in cui i due si studiano, si fronteggiano e, nel tentativo di neutralizzare l’uno le mosse dell’altro, si migliorano a vicenda. Se l’orchestra di Guardiola ha dovuto rendere meno stucchevole la sua elegante e avvolgente circolazione del pallone, con cui mira a sottrarre il medesimo ai piedi avversari, la rock band di Klopp ha a sua volta mitigato il parossismo del Gegenpressing (la riconquista immediata della palla), correggendolo con fraseggi più ragionati. Tenendo conto delle differenze costitutive tra uno sport di squadra e uno individuale, il modello del confronto tra Federer e Nadal è quello, ossia la confluenza, intuita da David Foster Wallace in Roger Federer come esperienza religiosa (edizioni Casagrande), tra Mozart e i Metallica, tra un’attitudine apollinea e una dionisiaca.

Un’incertezza in cui oscilla anche il giovanissimo Djoković: la sua scopritrice, Jeca Genčić, gli suona personalmente al piano della musica classica per distendergli i nervi (Chopin, Debussy, Grieg), che il bambino non gradisce, preferendo ascoltare l’heavy metal. Ma un giorno rimane folgorato dai canti da chiesa e dalle improvvise esplosioni strumentali dell’Ouverture 1812 di Çajkovskij, che diventa per lui il brano da suonare nel proprio hi-fi mentale per recuperare un incontro che si sta mettendo male. Il saggio di Modeo ha anche il merito di non dimenticare la generazione perduta, ovvero tutti quei talenti che, durante l’interminabile triarchia, si sono dovuti accontentare delle briciole, di attimi di distrazione, di casuali e temporanee discese dall’empireo.

È il caso dello svedese Robin Söderling, che al Roland Garros del 2009, eliminato Nadal agli ottavi, raggiunge la finale, dove soccombe in tre set a un Federer non al massimo della forma, che ha vinto a fatica i precedenti incontri e ha pure dovuto fronteggiare l’ingresso in campo di un agente immobiliare catalano, noto disturbatore di eventi sportivi. "La chiusura è una sequenza surreale. Alla risposta di Söderling in rete, l’Apollo si inginocchia sulla terra umida, mani sul volto, scoppiando nei suoi singhiozzi euforici: poi, rialzandosi, si apre in un sorriso infantile e luminoso, da bambino che ritrovi i genitori dopo il rilascio da un sequestro; e Söderling, anziché pensare alla sconfitta, gli va incontro a sua volta sorridendo, felice per la vittoria dell’avversario. Sarà lui stesso a spiegare quell’anomala attivazione dei neuroni specchio: è come quando vedi una persona addolorata o guardi la tv e ti intristisci tu stesso; se vedi una persona davvero felice, diventi felice. E per me è molto, molto più facile accettare di perdere contro Federer che contro chiunque altro. Perché lui, per me, è il più grande giocatore di sempre".

Oggi lo svizzero si è ritirato, Djokovic a 35 anni è il numero uno della classifica Atp e Nadal, a 36 anni, ha appena perso il sesto posto a beneficio di Rublev ed è tallonato dal canadese Auger-Aliassime, e tra i segnali dal futuro i più promettenti arrivano da un altro spagnolo, il diciannovenne Carlos Alcaraz, peraltro già incanalato nelle similitudini musicali di Modeo: "Carlitos ha già un suo stile, anzi una sua lingua, non riconducibile ad altri. In generale, sembra riassumere in sé l’evoluzione del tennis, o meglio del Sapiens e della sua tecnologia: i suoi colpi da fondo sembrano spesso scagliati da una clava, il remoto antefatto tecnologico della racchetta; mentre certi suoi colpi di sensibilità sembrano produrre il suono di un violino".

Alta fedeltà

Chissà se le prossime stelle del tennis sapranno condividere con i Tre anche la tendenza monogamica. Djokovic e Nadal hanno sposato le rispettive compagne di una vita, Federer è un altro marito felice che non ha dato soddisfazioni alle riviste scandalistiche. "Al momento", avvisa prudenzialmente Modeo, consapevole degli scarsi esempi di fedeltà coniugale rinvenibili nella storia dello sport, "l’incidenza di tale tendenza sulla performance – in ogni ambito, non solo sportivo – è ancora valutata a uno stadio teorico-speculativo: mancano suffragi statistici adeguati". Non importa: va già bene così. Gli scienziati non si disturbino ad approfondire la questione: ad alcuni tennisti della domenica di nostra conoscenza non sembrerà vero di poter accampare una scusa del genere al bar.

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