laR+ Sportellate

Il progetto lisergico dell'ex ciclista Rigoberto Urán

Abbandonati da poco i pedali, il 38enne colombiano ha detto di voler diventare calciatore professionista e ha pure trovato una squadra di Serie A

21 gennaio 2025
|

Viene definito realismo magico quello stile che, in pittura e in letteratura, unisce in perfetta convivenza componenti realistiche a elementi prodigiosi, in modo che – in pratica – tutto possa accadere. Un po’ alla Dino Buzzati, per intenderci, ma soprattutto alla maniera di numerosi autori sudamericani del XX secolo, ad esempio Borges. Ed è proprio a quel genere di narrativa che non ho potuto evitare di pensare quando pochi giorni fa – dalla Colombia di Gabo Márquez, il Nobel che scrisse fra le altre cose Cent’anni di solitudine – ci è giunta la notizia secondo cui Rigoberto Urán, ormai trentottenne e fresco di addio al ciclismo, ha deciso di diventare calciatore professionIsta. Così, quasi per capriccio, come se fosse la cosa più facile del mondo. Specificando, oltretutto, di voler giocare da numero 10, ossia il ruolo che richiede maggior perizia e abilità a livello tecnico.

Ora, si sa che agli atleti d’élite non può certo mancare una massiccia fiducia nei propri mezzi – senza la quale non resti in sella ben pagato per quasi vent’anni e non vinci tappe nei giri più prestigiosi al mondo (oltre all’argento olimpico) come ha fatto Urán –, ma qui pare proprio che l’ambizione sia finita del tutto fuori controllo. Quanto invasato devi essere per immaginare di poterti improvvisare, da un giorno all’altro, regista di una squadra di serie A? Eppure, come detto, nella sciagurata epoca in cui ci tocca vivere accade anche questo. E non soltanto nei sogni di un vecchio campione timoroso d’un tratto di finire nell’oblio: c’è infatti qualcuno – cioè i dirigenti del Fortaleza Ceif, compagine della massima divisione del fútbol cafetero – che davvero si è detto disposto ad assecondare una simile lisergica follia.

Trovate che il mio giudizio sia troppo severo? Sentite cos’ha dichiarato lo stesso ex ciclista: «Il sogno di ogni bambino, ovunque nel mondo, è giocare a calcio. Da piccolo non avevo talento per il pallone, ma ora che sono grande mi dico che è giunto il momento di provarci». Se non è dissennatezza questa… Certo, la presenza in squadra di un idolo sportivo tanto popolare come lo scellerato Rigo fungerebbe da richiamo stuzzicante per il pubblico, ma soprattutto sarebbe manna per gli sponsor del club, che vedrebbero i propri marchi diffusi massicciamente in tv e sui social senza dover sborsare il becco di un quattrino. Si capiscono dunque facilmente le ragioni commerciali di una simile operazione, ma davvero si fatica a comprendere cos’è che spinge un atleta a lanciarsi in una tale baggianata, se non – ribadiamo – un ego smisurato accompagnato a un discreto grado di obnubilamento.

Per carità, di sportivi che ormai pensionati decidono – con alterne fortune – di rituffarsi nella mischia ce ne sono sempre stati parecchi, come ad esempio i recentissimi casi di Marcel Hirscher e Lindsey Vonn, ex dominatori del Circo bianco testé tornati a lanciarsi sui pendii imbiancati. Ma, nella vicenda di Urán, la neve potrebbe essere di tutt’altro genere, dato che lo sfondo è la Colombia, e visto soprattutto che il nostro eroe non solo intende tornare all’agonismo d’alto livello, ma vuole addirittura farlo in una disciplina che gli è del tutto aliena e per la quale, per sua stessa ammissione, non ha mai posseduto alcuna vocazione. «Rigoberto sarà con noi per un periodo di prova», ha spiegato pensando agli incassi al botteghino Carlos Barato, fondatore e presidente del sodalizio con sede alla periferia di Bogotà. «Vuole assolutamente diventare un calciatore professionista, e noi gli consentiremo di giocarsela. Lo testeremo come centrocampista creativo».

Vincitore di una quindicina di corse in carriera e capace di salire sul podio finale sia al Tour de France sia al Giro d’Italia, Rigoberto Urán nel mondo del pedale è sempre stato amato da tutti – stampa, tifosi e colleghi corridori –, ma soprattutto gli è sempre stata riconosciuta una profonda onestà, dote che pare non averlo abbandonato nemmeno nella sua più che bizzarra idea di darsi al calcio: «Del resto, lo sapete che sono un pazzo», ha infatti chiosato il giorno in cui si è infilato per la prima volta parastinchi e scarpe bullonate.