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‘Mancano ancora una medaglia olimpica e una mondiale’

Dal primo trofeo mandato in frantumi dallo skiman alla cabala, Daniel Yule si è raccontato a tutto tondo nell’Auditorium della Commercio di Bellinzona

Il primo trofeo in carriera nel Circo Bianco rotto dallo skiman Nicola Marcon
(Keystone)
22 giugno 2023
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L’ Auditorium della Scuola cantonale di commercio ha fatto registrare il tutto esaurito durante la serata, organizzata dal comitato della Claro-Pizzo, in compagnia di Daniel Yule: classe 1993, nato da genitori scozzesi in un paesino di sedici abitanti della Val Ferret. È in un ambiente caldissimo che si rivedono le superlative corse in notturna in quel di Madonna di Campiglio, il suo fortino, e gli altri fantastici podi, ben sedici, messi a segno dallo slalomista rossocrociato. E a sostenere questa conferenza ci ha pensato la giornalista Ellade Ossola, che ha saputo coinvolgere l’ospite con domande a volte anche di natura privata, alle quali però sono giunte risposte adeguate e conviviali. La collega si sofferma subito sul fatto che il 30enne si esprime bene nella lingua di Dante. «Tutto è iniziato nel 2014, quando ho cambiato skiman – spiega –, ho trovato l’amico agordino Nicola (Marcon, ndr). Non parlava tedesco e nemmeno francese, spiccicava un po’ di inglese, e così si parlava in italiano e la cosa ha funzionato veramente bene. Me ne accorgo quando mi intervistano dopo un successo ottenuto sulle nevi italiane, con i giornalisti locali che mi rincorrono per avere risposte immediate e comprensibili sugli avvenimenti. Gli atleti parlano nel loro idioma, mentre io posso fornire interviste ‘esclusive’ superapprezzate».

In rapida sintesi una storia, quella di Yule, di sport e... sacrifici. Perché ci sono anche questi soprattutto all’inizio, dove si deve conciliare la propria carriera agonistica allo studio. «Io ho fatto le cose semplici, ma giuste – prosegue – ho frequentato la scuola media, poi il liceo a St. Moritz (maturità con opzione in matematica e fisica applicata) e, infine, l’università a distanza laureandomi in economia. Mio papà ha sempre affermato che si campa con la testa e non con i piedi: in parte è vero, quando smetterò la mia carriera agonistica avrò qualcosa in mano, ma per il momento non ci penso troppo. Vedrò più avanti che cosa mi riserverà il futuro». Da ragazzo e junior il vallesano dimostra buoni piedi, eppure «non ero uno dei più talentuosi: racimolati i primi punti in Coppa Europa, nel 2014 mi è stata data la possibilità di partecipare a uno slalom di Coppa del Mondo sulla leggendaria Hahnenkamm di Kitzbühel, poi vinta in due occasioni: avevo poco più di venti anni. Tanti sacrifici, lo ripeto, ma anche tante gioie e soddisfazioni. Miglioravo anno dopo anno e il salto di qualità è arrivato con l’allenatore Matteo Joris, con il quale è nata una simbiosi semplicemente unica. Ho modificato il mentale e curato altri particolari e i risultati si vedono».

Nella mente di Daniel rimane ben impressa, fissa, la prima vittoria su nevi elvetiche. «La ricordo bene! È stata ad Adelboden», un successo che nell’Oberland Bernese mancava da dodici anni per i colori rossocrociati. «Mi ha riempito di gioia, un’emozione fortissima. Soprattutto quando sono apparso sul muro conclusivo e mi sono trovato davanti migliaia e migliaia di persone, mi hanno poi riferito 25mila. Ci sono momenti che non riesci a esprimere a parole: rimangono nel tuo cuore». Il 30enne è da un decennio che gira il mondo grazie al Circo Bianco, Ellade Ossola lo marca da vicino e gli chiede dove non ha mai vinto. Daniel ammicca, fa una risata e prosegue. «Non ci sono mai riuscito a Schladming e, soprattutto, Wengen. Devo trovare gli spunti indispensabili per colmare questa lacuna, ovviamente prestando attenzione alla concorrenza. Da mesi sto affinando la preparazione fisica. Lunghe permanenze in palestra, esercizi intensi dedicati alla muscolatura e sedute di fisioterapia. Volete sapere se quando sono all’estero ho tempo per visitare le località? Sì, qualche volta, ma come detto dedico soprattutto il mio tempo all’aspetto mentale, a concentrarmi, studiare i percorsi, eseguire le ricognizioni e riposare».

Il vallesano afferma di non essere superstizioso, «il giorno prima di una gara indosso però sempre i medesimi indumenti. E, in partenza, infilo prima il piede destro nello scarpone. Mi chiedete se sento gli incitamenti provenire dal pubblico? No, non li sento: sono concentrato sul percorso, perché scendiamo a una velocità che sfiora punte di 50-60 chilometri orari. E quando passo il traguardo il mio sguardo è rivolto al cronometro... Se vedo il color verde mi scoppia il cuore dalla gioia. Ed è la festa, che puntualmente condivido con gli amici del mio fan club». Prima di andare alla fase finale dell’intervista c’è ancora tempo per qualche domanda. E allora la collega chiede cosa manca ancora nella sua bacheca. Ed è pronta la risposta: «Un titolo di campione del mondo e una medaglia olimpica», anche se dalla sala qualcuno ribatte, nel senso che le due cose ci sono. La prima conquistata nel 2018 alle Olimpiadi di Pyeongchang, la seconda l’anno seguente ai Mondiali di Are. Una medaglia, d’oro inoltre, nel Team Event. Ma, puntualizza, sono competizioni a squadre e non individuali. Il sapore è differente. Dalla sala qualcuno domanda in conclusione quale consiglio o suggerimento lo slalomista rossocrociato può dare alle giovani leve. «Dico semplicemente di continuare a sciare con entusiasmo, di divertirsi all’insegna dello sport e dell’amicizia. Se si è bravi i risultati giungeranno di pari passo». La conferenza si chiude con un nuovo prolungato applauso per l’atleta, chiamato fino a tarda serata a firmare una montagna di cartoline.

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