l'intervista

Dall'infortunio al ritorno, i rischi nel mestiere di sciatore

Fabio Truaisch, fisioterapista Swiss Ski, ci parla dei percorsi incrociati di Murisier e Kryenbühl. 'Si fa poca attenzione alle commozioni cerebrali'.

La caduta dello svizzero Urs Kryenbühl a Kitzbühel
(Keystone)
6 febbraio 2021
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Sofia Goggia ha il cuore probabilmente più malridotto del suo ginocchio destro. La frattura composta del piatto tibiale, che l'italiana s'è procurata pochi giorni or sono a Garmisch, le preclude l'attesa partecipazione ai Mondiali in casa. Cortina (dall'8 al 21 febbraio) perde così la dominatrice di discesa in stagione; ma la lista dei caduti più o meno eccellenti in sportiva battaglia che saranno assenti all’appuntamento clou dell’inverno 2020-21, è lunga e non risparmia nessuna squadra. Per citarne alcuni: Alexander Aamodt Kilde (che era in corsa per la generale di Coppa del Mondo, di cui è detentore), Adrien Serjested, Lucas Braathen e Atle McGrath (Norvegia); Tommy Ford, Ryan Cochran-Siegle, Alice McKennis e Steven Nyman (Usa); Thomas Dressen e Stefan Luiz (Germania); Nina Ortlieb, Nicole Schmidhofer e Bernadette Schild (Austria); Marta Rossetti, Mattia Casse e Davide Cazzaniga (Italia, in cui è rientrato quest’anno Dominik Paris). La Svizzera paga un pegno importante agli infortuni con vari atleti fermi, tra i quali: Mauro Caviezel, Reto Schmidiger, Nils Hintermann, Aline Danioth, Jasmina Suter, Andrea Ellenberger.

Oltre a Urs Kryenbühl, la cui caduta sull’ultimo salto della discesa di Coppa del Mondo a Kitzbühel aveva per lunghi attimi fatto temere il peggio. «Lo sci alpino è uno sport nel quale il rischio di farsi male non è ripagato da premi che, rispetto ad esempio a Formula Uno o Moto Gp, sono irrisori». Fabio Truaisch sa di cosa parla, perché in oltre un decennio di collaborazione con Swiss Ski, di atleti da rimettere in sesto ne ha visti passare diversi sul suo lettino di fisioterapista. «Chi pratica lo sci agonistico sa, intimamente, di correre un pericolo più o meno elevato d'infortunarsi, in modo leggero o grave». Ed è quando le cose non vanno per il verso giusto - sostiene il 36enne bleniese - che si vede la stoffa del professionista: cioè al rientro dopo un incidente, quando non si hanno più certezze ed è un po’ come ricominciare da zero con materiale, preparazione atletica, fiducia nel proprio fisico. Una fiducia non sempre immediata, «molto dipende dal tipo di lesione. Per uno sciatore magari la frattura della clavicola (una delle conseguenze riportate da Kryenbühl, ndr) è più facile da superare, perché la usa meno rispetto ad esempio a un hockeista, che in partita può subire cariche. Nello sci sono le rotture dei legamenti crociati, che creano i maggiori timori al rientro. Anche perché è uno sport che può presentare condizioni tali (tipo di pista, stato della neve, visibilità), da non far sentire l’atleta in totale sicurezza».

La commozione cerebrale oscurata dal legamento crociato: 'A volte sottovalutata'

Ma è a su un’altra delle ferite riportate da Kryenbühl sulla Streif, come pure da Mauro Caviezel nella caduta in allenamento a inizio gennaio a Garmisch, che Fabio Truaisch vuole portare l’attenzione: la commozione cerebrale. «Questa lesione, e non parlo di sci, spesso finisce per passare un po’ in secondo piano rispetto ad altre infortuni e il pericolo è che non venga seguita nel modo più corretto. Vuoi perché la situazione del professionista a volte non lo permette fino in fondo; vuoi perché è l’atleta stesso a darci meno peso, dato che è un danno non visibile. Invece è qualcosa che tutti dovrebbero tener presente: se si picchia la testa, ci possono essere gravi conseguenze: a breve, in caso di emorragia, o a medio-lungo termine, se non si rispettano i tempi di recupero».

Per l’incidente di Kryenbühl, Truaisch non usa giri di parole: il casco di nuova generazione gli ha salvato la vita. «Ho guardato più volte il video dell’accaduto, fa venire la pelle d’oca: a parte gli sci che si sono rotti, ciò che fa capire quanto violenta sia stata la caduta, si vede la testa prendere un grosso colpo e rimbalzare sulla neve, lasciando un buco. Un movimento a colpo di frusta, che pure può essere causa di gravi danni al sistema nervoso centrale. Fosse capitato dieci anni fa, non so come sarebbe andata a finire… Il casco si sarebbe probabilmente spaccato, a causa di una forza d’urto che, a 146 chilometri all’ora, è notevole. Così come violentissimo è l’impatto di una decelerazione improvvisa, come quella subita dallo statunitense Ryan Cochran-Siegle, finito nelle reti sempre a Kitzbühel a velocità elevata. Con una botta simile, il rischio di lesioni interne anche serie, non è indifferente».

Le conseguenze nei giorni seguenti un incidente del genere, possono essere varie. Commozioni cerebrali gravi sono causa di amnesia circostanziale, fotofobie, problemi a coordinazione ed equilibrio, stanchezza cronica, fischi nelle orecchie e persino depressione. «È un trauma che può rovinare la vita, non solo dal punto di vista sportivo. Ora il cervello di Urs avrà circa nove mesi di tempo (cioè, stando alle nuove linee guida, quanto richiede la guarigione di un crociato al fine di scongiurare il più possibile i rischi di recidiva, che con rientri dopo sei-sette mesi si rivelavano alti) per recuperare. Il problema, sempre non riguardante unicamente lo sci, è se si fanno più commozioni in carriera. Si sa che questo aumenta la possibilità di sviluppare un’encefalopatia traumatica cronica. Basti pensare ai pugili, tra i quali non sono rari i casi demenza giovanile, provocata da una degenerazione della corteccia cerebrale».

Non bisogna insomma sottovalutare questi traumi, la cui presa a carico ottimale inizia già in pista. «Per la buona riuscita di un recupero da infortunio, qualunque esso sia, ci sono tre pilastri fondamentali: una corretta estricazione (fissare l’atleta, protocollo per lesioni articolari, minerva per le cervicali); l’aspetto chirugico; la riabilitazione».

Tra i molti fattori che giocano un ruolo nel rientro alla competizione di uno sportivo, c’è l’età. «Urs sa che potrebbe avere davanti ancora diversi di anni di carriera, quindi può darsi il tempo per riprendersi». Peraltro lo ha già fatto una volta, dopo un infortunio ai tempi in cui Fabio Truaisch lo seguiva in Coppa Europa. Quella volta il fisioterapista era sul posto, a Sella Nevea, quando Kryenbühl cadde, rimediando traumi a entrambe le ginocchia che gli hanno lasciato una funzione muscolare piuttosto limitata. Conoscendolo, «credo che il suo carattere possa giocare un ruolo positivo. È un ‘easy going’, la prima cosa che mi ha scritto dopo l’incidente a Kitzbühel è stata “sono in vacanza”. Nel processo di recupero, a volte fa bene avere una visione positiva, saper vedere le cose con il giusto distacco. Vale per tutti, sportivi e pazienti ‘normali’».

Superare un incidente è un po' come elaborare un lutto

Per uno sciatore costretto a fermarsi mentre era in piena ascesa, la Svizzera questa stagione ne vede un altro trovare finalmente quei risultati ai quali sembrava promesso; ma che si temeva non avrebbe mai potuto raggiungere a causa di una serie incredibile di incidenti: Justin Murisier. «Una mattina di alcuni anni or sono, eravamo a Beaver Creek, mi chiese: ‘Fabio, pensi che un giorno mi alzerò dal letto senza mal di schiena? Aveva poco più di vent’anni ed era già in una situazione di cronicizzazione del dolore. Prima e dopo quell’episodio, ne ha passate davvero tante». Tre infortuni al medesimo ginocchio, lesione del menisco all’altro ginocchio, operazioni a entrambe le spalle, lesione a una vertebra lombare. «Lo conosco da parecchio tempo ed ero sicuro che avrebbe trovato un podio, per la perseveranza che ha sempre mostrato. Mentalmente è fortissimo e crede nei propri mezzi; la sola cosa che mi faceva dubitare, era la tenuta del ginocchio. Perché la testa deve andare con il corpo, ma anche viceversa». Lo aveva osservato ancora la scorsa estate allenarsi sui ghiacciai, al seguito della squadra maschile di Coppa del Mondo di gigante (per Swiss Ski, oggi Truaisch lavora circa un mese l’anno, per potersi dedicare allo studio di fisioterapia e alla famiglia, che dopo la primogenita Elodie di recente ha visto l’arrivo di Sofie). «Justin girava bene e la speranza era che il ginocchio reggesse. Per me lui è l’esempio della resilienza. A volte ti chiedi cosa possa pensare un atleta, nel momento in cui ad esempio si rompe un legamento. Per uno sportivo, superare un infortunio è una sorta di elaborazione del lutto. Deve accettare la situazione e, per questo, passare attraverso varie fasi: il rifiuto, specialmente se è il primo incidente, o la presa di coscienza se è il secondo o il terzo trauma; la rabbia, in particolare se capita alla vigilia di un evento, come Sofia Goggia, o dell’avvio di stagione, come lo stesso Murisier a metà settembre in Argentina, dopo aver già sudato litri nella preparazione. Bisogna tener presente che il lavoro di un atleta, è lo sport. La professione di Urs, Justin, Sofia, Alexander, Thomas, Mauro e tutti gli altri, è sciare. Nel mio campo, se ad esempio rompo un lettino, nel giro di pochi giorni me ne arriva uno nuovo; mentre gli sportivi in caso di fratture o lesioni, si devono fermare anche per mesi, dopo di che  tornare a essere competitivi non è scontato. Un infortunio, sul momento, fa perdere tutto: il corpo è ciò che permette la prestazione all’atleta, con un notevole investimento finanziario, di energie e di tempo. E un po’ come per un lutto, anche per superare un trauma fisico, per quante figure professionistiche si possa avere attorno (fisioterapisti, medici, preparatori atletici, psicologi), è dentro di sé che bisogna trovare la forza».

L'incidente che lo ha colpito maggiormente, è la caduta di Marc Gisin in Val Gardena. «Non si muoveva più, pensavo fosse morto. Cosa pensa il fisioterapista in quegli attimi? All’inizio passano davanti agli occhi ‘fotografie’ dei bei momenti trascorsi assieme all’atleta, ben sapendo inoltre tutto ciò ch'egli ha dovuto fare per arrivare a quei livelli; poi subentra comunque l’istinto professionale e ci si chiede se i soccorsi stiano arrivando abbastanza in fretta, se la presa a carico sia corretta e così via. È la reazione che ho se assisto a un incidente in tv. Mentre in pista, il fisioterapista ha dei compiti: se chiamato a un primo soccorso, si hanno diverse cose cui pensare (‘ho tutto nello zaino?, in che punto si è fatto male l’atleta?, in che condizioni lo troverò?) e poi s’interviene, spesso insieme a un medico; se invece si è in partenza, bisogna occuparsi dell’aspetto mentale dei compagni di squadra, filtrando e dando le giuste informazioni per evitare che vadano in ansia, con il rischio che durante la loro discesa si facciano male anche loro».

Urs i Mondiali li guarderà da casa, Justin invece se li è andati a prendere con caparbietà e tenacia. «Per i giovani che si fanno male, vedere un atleta salire o tornare ai massimi livelli dopo un grave incidente, è un’iniezione di fiducia. Dal mio punto di vista la vittoria più bella è vederlo così bene fisicamente. In fondo, io seguo lo sportivo per il suo benessere e non per la prestazione. Ovviamente sono molto contento se ottiene ottimi risultati o se vince. Però la mia grande soddisfazione è quando il ‘mio’ sciatore giunge all'arrivo tutto intero».

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