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L’ennesimo capitolo della vita di Petr Cech

Annunciato l’addio al mondo del pallone, il ceco si è reinventato sul ghiaccio confermando tutte le sue qualità anche nel massimo campionato britannico

(Belfast Giants)
5 gennaio 2024
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L’azione è asfissiante, la difesa annaspa: commettere una piccola, ma fatale, scorrettezza pare l’unica soluzione onde porre fine a quell’agonia. È rigore! Da ultimo baluardo, allontani le ingiurie di quei minuti concitati e abbassi la saracinesca. L’impianto precipita in un silenzio (quasi) surreale. Tutto è rimandato all’appendice più crudele, quella dei penalties... Un’apoteosi. Questa brama di agonismo ossessiona sempre più calciatori in pensione, basta pensare a Paolo Maldini e il tennis. Henrik Larsson, e il floorball. O Gabriel Batistuta, e il polo. Non tutti riescono infatti a girare pagina e rinunciare alla trepidazione delle competizioni, alle cosiddette luci della ribalta.

A essersi recentemente distinto in un’altra disciplina è Petr Cech; dismesse scarpe chiodate, e quell’iconico caschetto, indossa pinza e pattini reinventandosi sul ghiaccio. L’apice di questa sua nuova esperienza hockeistica è il debutto nel massimo campionato britannico, storia di qualche settimana fa. Chiuse le parentesi Guildford Phoenix e Chelmsford Chieftains, l’oggi 41enne cede alle lusinghe dei City Stars. Nella cittadina inglese conferma tutta la sua classe, arrestando 62 conclusioni su 64 nel match (3-2 il risultato finale) dello scorso ottobre contro il London Streatham. Cech sceglie di vestire la maglia numero 39 in onore del leggendario e, non da ultimo, connazionale Dominik Hasek. Il suo percorso è dunque impreziosito dal prestito di breve durata chiesto dai campioni uscenti dei Belfast Giants così da rimediare all’emergenza infermeria emersa fra i pali. E, rimpiazzando pochi minuti il compagno di reparto Tyler Beskorowany, contribuisce a rilanciare la rappresentativa nordirlandese, interrompendo una serie negativa di ben quattro incontri. Il ceco in precedenza era già stato intercettato dai radar dei Giants in occasione di una sfida a scopo benefico, in cui si erano racimolate quasi 65mila sterline a favore della ripresa del campionato ucraino.

Fra qualche colpo di batteria, e piccole comparsate, la carriera sportiva di Cech inizia tuttavia sui terreni da gioco della città natale, Plzen. A (soli) diciassette anni esordisce da professionista nel Chmel Blsany, prima di accasarsi nella compagine faro del Paese, lo Sparta Praga. Nella capitale ritocca subito il record d’imbattibilità nella lega ceca, ben 855 minuti. E nell’Europeo U21, di scena in Svizzera, consegna alla madre patria uno storico titolo continentale sconfessando ai rigori Frau, Escudé e Boumsong. Non può che essere nominato miglior giocatore del torneo. L’allampanato inizia poi a spiccicare qualche parola in francese, bazzicando nell’orbita del Rennes. A poco meno di sei mesi da Euro 2004, in cui il cammino della Cechia si arena in semifinale alla sorprendente Grecia, le sue capacità non passano tuttavia sottotraccia. Da ‘panchinaro’ d’eccellenza a titolare inamovibile del Chelsea, rimasto orfano dell’infortunato Carlo Cudicini. L’annata è inoltre arricchita dalla conquista della Premier e della Coppa di Lega inglese – senza considerare l’ennesimo primato di imbattibilità, ben 1’025 minuti.

Una protezione, carattere distintivo

La carriera è in rampa di lancio, ma il destino cerca di frapporsi. Il 14 ottobre 2006, trascorsi appena quindici secondi, Cech arpiona una palla lunga apparentemente innocua; su quel pallone è tuttavia indirizzato anche Stephen Hunt. L’irlandese non arresta (in tempo) la sua corsa, rifilando una ginocchiata esecrabile sulla tempia dell’estremo difensore. Pochi millimetri e il ceco è in pericolo di vita. La prognosi? Frattura del cranio e, successiva, emorragia. È necessario intervenire d’urgenza. La perdita della memoria relativa e la paura di riporre prematuramente, a soli 24 anni, tutte le ambizioni nel cassetto non condizionano il natio di Plzen: tornato a calcare i terreni da gioco a quasi cento giorni dal misfatto, Cech indossa un casco protettivo simile a quello dei giocatori di hockey. La condizione sine qua non posta dai medici e, altresì, un carattere distintivo. Quel suo nuovo fidato compagno di vita comparirà anche fuori dal campo, in sede di contrattazioni, nella ‘celebre’ serie di videogiochi Fifa. Un elmetto ricoperto da un ampio strato di gommapiuma, di quelli utilizzati in mischia. Non impiega molto prima di tornare a splendere, ma, poi, Mourinho preferisce Thibaut Courtois. E, passato qualche mese in modalità chioccia, accetta l’offerta dell’Arsenal. L’ultimo capitolo di questo romanzo è il classico tuffo nel passato. A chiudere (simbolicamente) il cerchio è la finale di Europa League, persa 4-1 dal Chelsea. Il suo raccolto è comunque ricco, prosperoso.

Non mancano le affermazioni personali, fra cui il record storico del maggior numero di clean sheets (ben 202 in 443 apparizioni) nel massimo campionato britannico. Annuncia dunque l’addio alle competizioni, perlomeno quelle calcistiche, nel corso della sua ventesima stagione da professionista. “Ho giocato 15 anni in Premier, collezionando ogni singolo trofeo possibile. È il momento di ritirarsi”. Una leggenda del panorama europeo e, soprattutto, del Chelsea. Pallone e Blues hanno però continuato a farcire le sue giornate quale direttore sportivo della squadra londinese sino a giugno dello scorso anno. Il definitivo (finora) commiato. Non ha comunque abbandonato il Regno Unito, rimpossessandosi del suo ruolo di goalkeeper ma sul ghiaccio. D’altronde le abitudini sono dure a morire. Lui che ha sempre preferito la consistenza a inutili fronzoli.

Simili, ma in epoche differenti

Una storia che ricalca parzialmente quella imbastita da Lev Yashin in epoca più lontana. Dalla fabbrica alla polisportiva del Ministro degli Affari interni, la sua Dinamo Mosca. L’esordio in prima squadra è tuttavia parecchio amaro, leggenda vuole macchiato da qualche papera: condannato a espiare la sua ‘pena’ in esilio sul ghiaccio, incamera sempre più esperienza finché il principale contendente, Aleksey Khomich, s’infortuna. L’allora 25enne non si lascia sfuggire questa seconda possibilità, tant’è che nel corso della sua carriera riuscirà a mettersi in bacheca la bellezza di cinque Vyssaja Liga (il campionato sovietico), tre Coppe di lega, un Europeo, un oro olimpico... E il Pallone d’oro nel 1963 – anno in cui incassa la miseria di sei reti e conquista quel premio finora mai più conferito a nessun altro portiere. Numeri impressionanti pensando che prima di ogni incontro fumava una sigaretta così da allentare la tensione e, spesso, trangugiava alcolici. La Pantera Nera, come era soprannominato, subisce l’amputazione di una gamba a causa di una trombosi e, cinque anni più tardi, nel 1990, perisce. Nessuno è mai riuscito a emulare la sua prontezza di riflessi, quell’innata capacità di ipnotizzare ogni calciatore. Un campione inimitabile, che rimarrà sempre nei cuori dei tifosi biancazzurri. Nonostante i primi (impacciati) passi sui manti erbosi, Yashin è stato capace di riscattarsi arricchendo ulteriormente l’Olimpo del pallone. Dal 2019 France Football ha istituito un premio in suo onore, assegnato durante la cerimonia del Pallone d’oro a chi si è ben disimpegnato fra i pali.

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