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L’Unione fa l’Ambrì: ‘Non ci lasceremo mettere sotto pressione’

Con Paolo Duca e Luca Cereda saldi ai posti di comando, alla Gottardo Arena si guarda avanti con rinnovato entusiasmo. ‘Nessuna esitazione’

‘Per le analisi ci siamo presi sei settimane perché eravamo tutti spremuti’ dice il presidente, ‘c’è voluta una settimanella’ replica il Ds
(Ti-Press/F. Agosta)
25 aprile 2023
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Un’ora e mezza di parole e numeri in quella stessa sala in cui, sei anni prima, Filippo Lombardi, Paolo Duca e Luca Cereda tennero a battesimo il nuovo Ambrì qualche giorno dopo il disgraziato spareggio, pur a lieto fine, con il Langenthal. «Se siamo di nuovo in questa sala (all’Hotel Unione a Bellinzona, ndr) è per ribadire lo stesso impegno: questi sei anni sono passati come un fulmine, e se ci siamo presi sei settimane, non sei mesi, è perché eravamo tutti spremuti», dice il numero uno della società biancoblù. Anche se poco più tardi, nella medesima conferenza stampa il ‘diesse’ lo correggerà, dicendo che per arrivare a delle conclusioni «c’è voluta una settimanella, ma ci siamo detti che le avremmo presentate al momento opportuno».

Lombardi, da quattordici anni alla testa dell’Ambrì, nella sua valutazione parte da lontano. «Vorrei ricordare dov’eravamo nell’aprile del 2017, al terzo spareggio in sei anni. In questo periodo – sottolinea – abbiamo riequilibrato le finanze del gruppo, abbiamo rilanciato il settore giovanile e coltivato il progetto Ticino Rockets che è parte integrante della formazione e che ci è costato, e potrebbe ancora costarci («dipende da cosa succede nei prossimi giorni», aggiunge), abbiamo costruito la Gottardo Arena e poi abbiamo vinto la Spengler. La delusione sportiva al termine della stagione 2022/2023 è comprensibile, ma eccessiva e destabilizzante a causa delle batterie scariche un po’ di tutti, e di certi commenti acidi e ingenerosi».

A tal proposito, più che essere chiaro Lombardi è cristallino. «Dire che l’ultima era una cattiva stagione ci sembra sbagliato. Invece è stata sostanzialmente buona. Chiaro, eravamo tutti scornati dopo la sconfitta nel derby, e la delusione finale si può capire, ma non può offuscare tutto il resto. Forse l’errore mio, e di tutto il Consiglio d’amministrazione, è stato non dirlo subito. Abbiamo avuto una discussione approfondita e a cuore aperto con lo staff tecnico. Non sto qui a entrare nei dettagli, ma penso abbiate capito che ci siamo guardati negli occhi e ci siamo parlati molto chiaramente, e non una volta soltanto: siamo arrivati alla convinzione reciproca che vale la pena andare avanti. Ci siamo battuti in questi anni per raggiungere qualcosa, non certo per buttarlo nel cestino adesso».

Insomma, non solo Cereda e Duca restano dove sono – e per dirla tutta, qualsiasi altra ipotesi pareva piuttosto improbabile –, ma ora più che mai l’Ambrì vuol dar prova di compattezza. «Vogliamo andare avanti su questa linea, e faremo blocco con lo staff. Vorrei che tutti ne fossero coscienti. La domanda, naturalmente, ce la siamo posta: cosa succederà se dovessimo perdere dieci partite di fila? E se ne perdessimo dodici? Io dico (aggiunge, scandendo le parole) non-m’in-te-res-sa! Il Cda ha adottato una decisione e prenderemo la nuova stagione come se fosse un solo blocco dalla prima all’ultima partita. Tifosi, blogger e quant’altro possono risparmiarsi le speculazioni: non ci saranno esitazioni, e se a qualcuno non va bene, spiace dirlo, perché evidentemente io voglio gli abbonati, be’, non faccia la tessera. In Svizzera ci sono altri tredici club di ottima fattura... Nel caso in cui qualcosa andasse storto non saremo qui a farci mettere sotto pressione: vogliamo affrontare insieme questa stagione compatti, convinti, e chiediamo al pubblico di seguirci in questa sfida d’identità e di fedeltà alle proprie radici. E promettiamo, questo sì, di fare il duecento per cento di ciò che è in nostro potere per riuscire a migliorare».

IL DIRETTORE SPORTIVO

‘Se sono preoccupato? Io lo sono sempre’

Tuttavia, migliorare non è facile in un contesto tanto agguerrito. Il direttore sportivo biancoblù ne è ben cosciente. «Quello scorso è stato il primo campionato a 14 squadre e a 6 stranieri – ricorda Paolo Duca –. C’erano delle incognite e si sono create dinamiche nuove, difficilmente prevedibili. Ci siamo detti ‘proviamoci, lottiamo e facciamo in modo di essere tenaci’, ma ci sarebbe piaciuto provare a fare un passo avanti a livello di qualità, così abbiamo accorciato un po’ la panchina, partendo addirittura con sette stranieri. Penso che siamo riusciti ad aumentare un po’ il tasso tecnico, infatti rispetto alla stagione precedente abbiamo segnato venti gol in più, che sono tanti, ma purtroppo ne abbiamo incassati 18 in più. Tuttavia, ci siamo resi conto di aver pagato un po’ in termini di carattere, di personalità e a un certo momento anche a livello della possibilità d’intervenire, siccome il roster era limitato. Lo dico, perché a più riprese abbiamo dimostrato di faticare nel contrastare le avversità. Penso ad esempio alle otto partite perse di fila a ottobre, ma abbiamo anche faticato in determinate partite decisive contro dei concorrenti diretti, alludo al derby e alle ultime 7 sfide perse in casa, pur bilanciate dalle sei vittorie in trasferta. Abbiamo poi fatto un piccolo azzardo che ci è costato parecchio, rinunciando a un centro come Shore siccome le cose non funzionavano, dopo aver saputo che c’era la possibilità d’ingaggiare un giocatore del calibro di Formenton, convinti che Kostner ne avesse solo per qualche settimana, invece praticamente è rimasto fuori fino alla fine. Questo è uno dei motivi per cui nel finale di stagione abbiamo dovuto fare qualche innesto magari non proprio in linea con quella che è la nostra strategia. È stato un finale di stagione complicato, in cui siamo arrivati a poco dalla qualificazione ai preplayoff ma anche a poco dal finire nei playout. A cui, e questo va detto chiaramente, nessuno è immune».

Così come nessuno è immune dallo stress...

Per me è stata una stagione pesante, non lo nascondo, e alla fine lo sconforto era grande. Filippo ci ha chiesto di ritagliarci un po’ di tempo per prendere decisioni ragionate, io e Luca l’abbiamo fatto: sono sempre ancora convinto che quella dell’Ambrì sia una realtà eccezionale, per cui vale la pena di lottare. Lo pensavo sei anni fa, lo penso adesso. Pur se ogni tanto è dura, e bisogna assumersi grandi responsabilità. Ma ciò che è fondamentale per me non è tanto avere le energie per combattere, quello fa parte della mia natura: ciò che conta è essere convinto che, già sapendo che la tua spada è più corta di quella dell’avversario che ti trovi davanti, tutti continuino a lottare assieme, che vadano nella medesima direzione. Per me sono determinanti la compattezza, la consapevolezza di quello che è il nostro potenziale e la strategia sportiva che abbiamo scelto, e nel frattempo implementato, e che ha portato anche a qualche risultato a livello di formazione, e che oggi ci permette di essere ancora qui.

E il mercato?

In queste settimane ci sono state alcune speculazioni da parte di qualcuno e che non commenterò... Ci sono invece un paio di situazioni che sono concrete: una è quella di Filip Chlapik, che ci ha manifestato una certa problematica familiare, e stiamo vedendo se riusciamo a trovare delle soluzioni. L’altra, invece, riguarda André Heim, e nel suo caso posso confermare l’interesse da parte di una certa società (si tratterebbe dei St. Louis Blues, ndr). Affaire à suivre, come si dice. Tutto il resto non merita di essere commentato. Di certo, non in un appuntamento come questo.

Ma non sei preoccupato, adesso?

Preoccupato... Preoccupato io lo sono sempre. Perché è logico che vorremmo sempre offrire la miglior squadra possibile con i migliori giocatori possibili, per permettere allo staff di fare risultato.

L’altra sera, in tivù, il tuo omologo del Servette, Marc Gautschi, ha detto di non temere di dover pazientare sino ad agosto per chiudere il ‘pool’ di stranieri.

Bella forza, se hai già una rosa super competitiva e, a dipendenza di ciò che succede prima, alla fine ci aggiungi ancora un’ala o un centro... Però è vero che ad agosto c’è sempre un piccolo mercato di giocatori che non hanno ancora trovato un accordo oppure non hanno ottenuto ciò che vorrebbero dalla loro società, e già il suo predecessore (Chris McSorley, ndr) spesso faceva degli affari. È logico, so bene che il tifoso già oggi vorrebbe sapere che volto avrà a settembre la sua squadra del cuore, ma la verità è che non ci sono mai certezze, e uno deve saper cogliere le occasioni quando si presentano.

A proposito di tifosi: pensi che dopo il trasferimento nel nuovo stadio molta gente abbia cominciato a sognare un po’ troppo in grande?

E giustamente direi, non gliene faccio mica una colpa. Ciò vuol anche dire che sul ghiaccio siamo riusciti a mostrare un buon hockey. Forse all’inizio, quando dicevamo a tutti ‘calma, perché abbiamo vinto qualche partita che forse non meritavamo di vincere’, il discorso andava un po’ in questo senso, cioè che nello sport si fa in fretta ad andare su ma altrettanto a cadere giù. Poi è giusto che il tifoso sogni, perché vede i miglioramenti della sua squadra: semmai, per lui è più difficile mettersi in relazione con gli avversari, e trovo che questo sia compito nostro ricordarlo ogni tanto. Ed era da tanto che non lo facevamo.

Anche sui conti bisogna vincere. ‘Per noi il pareggio non è abbastanza’

Stadio nuovo uguale nuove opportunità. Non subito, però: anche perché l’Ambrì, unica società in Svizzera a essere proprietaria della propria pista, ora come ora di soldi deve semmai sborsarne più che incassarne, al di là dei tre milioni di franchi che le servono ogni anno per farla funzionare. «Nei prossimi cinque anni dovremo rimborsare 10 milioni di franchi, in seguito il normale ammortamento dei crediti ipotecari non dovrebbe più porre problemi – rivela Filippo Lombardi –. La buona notizia è che, riguardo al cantiere, restano ormai soltanto una decina di creditori da pagare, i quali hanno ricevuto degli acconti e nelle prossime settimane verranno liquidati grazie al credito-ponte che anticipa il saldo dei sussidi pubblici già deliberati. Per il resto, gli introiti ordinari, lo si vede dai conti di quest’anno, già adesso ci permettono di gestire l’Arena in pareggio, ma per noi un pareggio non è abbastanza».

Insomma, c’è del margine di crescita, e sul dossier avrà indubbiamente la sua da dire il nuovo Ceo dell’Ambrì, il cinquantaquattrenne John Mischkulnig, economista aziendale belga di origini austriache approdato in Svizzera all’età di diciotto anni, e che in passato, tra le altre cose, è stato direttore della Chocolat Alprose di Caslano. «Ringrazio il presidente e il Consiglio d’amministrazione per la fiducia, accetto volentieri questa sfida e sono orgoglioso di contribuire al successo dello storico e per me affascinante Hockey club Ambrì Piotta», sono le prime parole del nuovo direttore generale. E a lui, come a tutti gli altri, il lavoro non mancherà.

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