CALCIO

Derby d'Italia, storia di una partita mai come le altre

Juventus e Inter si affrontano per la leadership. Una rivalità che dura da 114 anni, dal 9-1 con la Primavera nerazzurra al caso Ronaldo-Iuliano

(Ronaldo contro Deschamps. Dello scontro tra il Fenomeno e Iuliano si discute ancora oggi)
25 novembre 2023
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Lo chiamano il “Derby d’Italia” e niente in Italia è più sentito di un derby. Il primo si giocò il 14 novembre 1909, il prossimo il 26 novembre 2023. Di fronte, come sempre, Juventus e Inter: mai amiche, sempre nemiche. Considerando solo le partite ufficiali sarà la duecentocinquantesima volta e se tutte sono state sentite, questa lo è particolarmente: se vince l’Inter di Inzaghi è fuga, se vince la Juventus di Allegri è sorpasso in testa alla classifica. Dopo anni, infatti, questa rivalità è tornata a essere anche quella per lo Scudetto, almeno se Napoli e Milan non si svegliano.

Juventus-Inter non è un derby nel senso geografico del termine, eppure è molto di più. È l’Italia che si schiera, il potere industriale torinese contro quello imprenditoriale milanese, la nobiltà sabauda contro la borghesia meneghina, gli Agnelli contro i Moratti. Ma soprattutto è una storia al veleno, fatta di episodi arbitrali dubbi, tribunali, stilettate lessicali, strascichi lunghi decenni. In una sola parola: odio. E non solo sportivo.

La rivalità nel passato

È difficile ricostruire quando tutto nasce. Probabilmente avviene negli anni ‘30, quando in dieci anni Juventus e Inter si dividono otto scudetti (cinque alla Juventus, tre all’Inter, in quel momento, per motivi fascisti, chiamata Ambrosiana). Ma è nel 1961 che la sfida si accende, passa da essere una partita di cartello a una partita di coltelli (in senso solo figurativo).

Il 16 aprile le due squadre si affrontano al Comunale di Torino; l’Inter deve vincere per riavvicinarsi in classifica e giocarsi il titolo in volata proprio coi bianconeri. Dopo mezz’ora, però, l’arbitro Gambarotta sospende la partita: troppa gente presente allo stadio. Con i tifosi, raccontano le cronache, appollaiati fin dentro le panchine e a bordo campo non c’è la sicurezza per continuare.

Dieci giorni più tardi la Lega assegna la vittoria a tavolino all’Inter come da prassi dell’epoca, riaprendo di fatto il campionato. Ma il 3 giugno, alla vigilia dell’ultima giornata con le squadre a pari punti, la Commissione d'Appello Federale accoglie il reclamo della Juventus e impone il replay della partita. Succede il finimondo: proteste e accuse si rovesciano su Umberto Agnelli, che in quel momento è presidente della Juventus e della Federcalcio, un doppio ruolo che gli avrebbe permesso di influenzare la decisione di ripetere la partita. L’Inter è così furiosa che il presidente Angelo Moratti decide di mandare in campo la Primavera, anche perché con la sconfitta a Catania (la partita del famoso «clamoroso al Cibali») la Juventus scappa a tre punti e quel recupero è diventato inutile. Come risposta i bianconeri decidono invece di mandare in campo i migliori e infierire. La partita finisce 9-1. Sivori segna 6 gol, record storico della Serie A che ancora resiste. Il gol della bandiera dell’Inter è di Sandro Mazzola, che quel giorno debuttava. Qualche giorno dopo Umberto Agnelli dà le dimissioni dalla Figc.

Subito dopo arrivano gli anni della Grande Inter, quella di Helenio Herrera che domina in Italia e in Europa. In risposta gli Agnelli chiamano in panchina Heriberto Herrera. Sembra quasi uno scherzo. I due tecnici sudamericani sono quasi agli antipodi nel modo di vedere il calcio e si ritrovarono a sfidarsi prima nella finale della Coppa Italia 1965 e poi in una lunga volata Scudetto nel 1967. Ad avere la meglio è la Juve Operaia, come era chiamata in quegli anni, che trionfa in rimonta all'ultima giornata, complice una papera del portiere nerazzurro Giuliano Sarti a Mantova. Una sconfitta che, di fatto, mette fine a quella storica squadra.

Il contatto Ronaldo-Iuliano

Negli anni ‘70 e ‘80 la rivalità resiste un po’ sopita, con momenti di minore o maggior fortuna per le due squadre. L’odio reciproco però rimane: su Youtube si può trovare un video che spiega abbastanza bene i rapporti tra bianconeri e nerazzurri. Giampiero Galeazzi prova a intervistare Beppe Furino, simbolo della Juventus dell’epoca, appena uscito dal campo durante un Inter-Juventus del 1982, ma non ci riesce perché i due sono bersagliati da un fitto lancio di pietre dalla tribuna. «Non sei molto amato a San Siro» gli dice Galeazzi. «No, è la Juve che non è amata» risponde Furino.

Ma è il 26 aprile 1998 che succede il fattaccio, il singolo episodio che più di tutti ha contribuito a rendere questa rivalità più simile a quella tra i Montecchi e Capuleti che non a una sportiva. La Juventus è quella della triade Moggi, Giraudo e Bettega in tribuna; di Lippi in panchina e Zidane e Del Piero in campo. L’Inter è da poco tornata nelle mani della famiglia Moratti, con Massimo che non bada a spese pur di vincere la Serie A. In attacco, per dire, ha comprato un brasiliano che va velocissimo: Ronaldo (il fenomeno). E sarà proprio lui a entrare nella storia in un’azione, dall’altra parte il più umano Mark Iuliano. Il contatto tra i due, non sanzionato dall’arbitro Ceccarini con un rigore, è argomento di discussione valido ancora oggi, a 25 anni di distanza. Per gli interisti è il più grande furto sportivo della storia, per gli juventini era fallo di Ronaldo.

La Juventus vincerà quella partita e qualche settimana dopo lo Scudetto, ma le polemiche sommergono tutto. Gigi Simoni, allenatore di quell’Inter, insegue l’arbitro in campo; Moratti lascia prima lo stadio dicendo: «Non mi resta che constatare l’esistenza di un complesso da parte degli arbitri. Hanno paura di far male alla Juve». Ronaldo rinfocola: «Mi sento derubato», dice; Moggi gli risponde di stare zitto e fare come Del Piero, cioè segnare. Tutti dicono la loro: politici, giornalisti, cantanti («Il rigore su Ronaldo poteva anche starci, nessuno avrebbe protestato», dice Luciano Pavarotti), addirittura cardinali.

I rapporti tra le due squadre diventano di partita in partita più sgradevoli. Il 5 maggio 2002, all’ultima giornata, l’Inter può vincere lo Scudetto battendo la Lazio, proprio davanti alla Juventus. Sarebbe la perfetta vendetta. La squadra di Cuper però finisce per perdere in un Olimpico tutto nerazzurro. A Udine invece i bianconeri non falliscono il sorpasso e festeggiano lo scudetto in faccia ai rivali. Le immagini sono impietose: da una parte Ronaldo in lacrime in panchina, dall’altra Antonio Conte fradicio di champagne che al microfono grida: «C’è poco da parlare, stiamo godendo».

Calciopoli e la rivalità oggi

Sono anni in cui l’Inter sembra, per un motivo o per un altro, non poter avere la meglio sulla rivale di sempre. Nell’estate del 2006, però, cambia tutto. È calciopoli bellezza. La giustizia sportiva italiana giudica la Juventus, e altre squadre, colpevoli di «una fattispecie di illecito associativo», di aver cioè creato una struttura in grado di condizionare le designazioni arbitrali e avere favori sia in campo che fuori. Per i bianconeri arriva la retrocessione in Serie B, la prima della loro storia, e la revoca degli ultimi due scudetti vinti. Se quello 2004/05 rimane senza padrone, quello del 2005/06 viene assegnato all’Inter. Per i tifosi bianconeri è uno smacco, che li porterà a definire quello dell’Inter “uno scudetto di cartone”. Ma questa decisione non inasprisce solo i rapporti tra i tifosi. Calciopoli da una parte per i dirigenti dell’Inter conferma le scorrettezze della Juventus che loro da sempre evidenziano, dall’altra la Juventus si sente punita oltre le sue colpe proprio per favorire l’Inter (e infatti ancora oggi per la società gli scudetti sono 38 e non 36).

Con queste premesse, gli incontri più recenti non possono che essere stati gonfi di polemiche. Solo per citare gli ultimi: nel 2018 c’è la mancata espulsione di Pjanic, in una partita poi vinta dai bianconeri che sarà decisiva per stare davanti al Napoli; nel 2020 è l’ultima partita prima del lockdown pandemico con le città già deserte; nel 2021 Antonio Conte - bandiera juventina passata ad allenare l’Inter - fa il dito medio ad Andrea Agnelli che gli risponde dicendo di metterselo lì, dove non batte il sole (più altre offese); nel 2023 è Allegri che si scaglia contro Marotta, anche lui ex, urlandogli «siete delle m…e, ma tanto arriverete sesti»; qualche settimana prima Cuadrado (allora alla Juve, oggi all’Inter) era arrivato alle mani con Handanovic, una rissa partita da un’esultanza di Lukaku sotto la curva bianconera, che aveva risposto con ululati razzisti.

Ci sarebbe anche il calciomercato in mezzo: lo scambio Boninsegna-Anastasi, il passaggio di Tardelli all’Inter, quello di Altobelli alla Juventus. Schillaci, Peruzzi, Davids e Cannavaro. Trapattoni, Lippi, Conte. Due estati fa sembrava il turno di Dybala all’Inter, l’ultima di Lukaku alla Juventus. Colpi, almeno quelli, risparmiati ai tifosi. Almeno per il momento.

Insomma, Juventus e Inter divise in tutto e soprattutto diverse in tutto. E, proprio per questo, anime del Paese che rappresentano. Domenica, si spera, lo faranno nella loro forma migliore perché, oltre tutte le polemiche, la storia di questa sfida è fatta anche di grandi calciatori e partite ancora più grandi.

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