CALCIO

Docce scozzesi in un cantiere in costruzione

Alti e bassi del Barcellona di Xavi a un passo dall’uscire dai gironi di Champions per il secondo anno consecutivo. Il talento c’è, il tempo scarseggia

13 ottobre 2022
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Una doccia scozzese dopo l’altra. È il destino del Barcellona da un anno e mezzo a questa parte, in pratica dalla partenza di Leo Messi alla volta di Parigi e dalla scoperta della voragine finanziaria creata dalla scellerata politica dell’ex presidente Josep Maria Bartomeu: l’inizio di stagione disastroso con Ronald Koeman in panchina, le speranze suscitate in troppi commentatori dall’arrivo di Xavi Hernandez a inizio novembre, l’eliminazione nella fase a gironi di Champions League e negli ottavi di finale di Europa League (3-1, 1-1 contro l’Eintracht Francoforte), una prima parte di stagione 2022-23 condotta al passo del Real Madrid (attualmente il Barça è primo per differenza reti), infine una nuova batosta nel giro di una sola settimana, con la sconfitta a San Siro e il pareggio del Camp Nou contro l’Inter, sinonimo di quasi certa eliminazione dall’attuale Champions. Quella che fino a qualche anno fa era una corazzata per la quale gli inciampi rappresentavano l’eccezione non certo la norma, si è trasformata in un vascello a vela, che con il vento in poppa vola, ma al quale basta una burrasca per imbarcare acqua da ogni fessura.

L’eliminazione quasi certa dalla competizione più importante (il 26 ottobre all’Inter basterà una vittoria interna contro il Viktoria Pilzen per accompagnare negli ottavi il Bayern Monaco) rappresenterebbe un disastro di proporzioni immani. Da 24 anni a questa parte, i blaugrana non sono mai stati eliminati per due volte consecutive nella fase a gironi. Al netto del ricavato di entrate al campo e affini, un eventuale successo in Europa League non sarebbe sufficiente per tappare il buco creato dall’eliminazione in Champions: aggiudicarsi la sorella di mezzo delle competizioni continentali apporterebbe 14,4 milioni di euro alle casse culé, mentre basterebbe raggiungere i quarti di finale di Champions per intascare 20,2 milioni. E per un club che deve far fronte a un debito complessivo attorno a 1,2 miliardi di euro, anche poche decine di milioni di liquidità possono rappresentare la differenza tra la sopravvivenza e la bancarotta.

"Sull’orlo del disastro", "Vivi per miracolo", "Ko virtuale" sono alcuni dei titoli con i quali i quotidiani spagnoli hanno accolto il pareggio del Nou Camp contro l’Inter… «È crudele – ha affermato Xavi in conferenza stampa –. Sono arrabbiato, triste e contrariato. I nostri errori ci hanno uccisi». È innegabile che le tre reti di un Inter nettamente migliore rispetto a quello che aveva "rapinato" il Camp Nou nel 2010, sono state tutte frutto di clamorose incertezze difensive: dall’abbaglio di Piqué (non ha visto Barella alle sue spalle), all’irrisoria facilità con la quale Lautaro si è liberato di Eric Garcia, al pressapochismo di Kessié (peraltro fresco in quanto da poco entrato) incapace di coprire la sgroppata di Gosens... E da buon capitano, Gerard Piqué non le ha mandate a dire…

«Con la campagna acquisti effettuata, avremmo dovuto aspirare a ben altri risultati». In effetti, grazie a qualche equilibrismo contabile, in estate il Barça era stato in grado di cavare dalle casse 143 milioni di euro per mettere a segno alcuni colpi di mercato di spessore, come gli ingaggi di Robert Lewandowski, vice Pallone d’Oro 2021 e terzo miglior realizzatore della storia della Champions dopo Cristiano Ronaldo e Leo Messi, Raphinha, Andreas Christensen o Jules Koundé. Certo, la Liga rimane aperta e sabato alle 16.15 al Santiago Bernabeu andrà in scena il primo "Clasico" della stagione, ma è in Europa che un club come quello catalano cerca la sua consacrazione. La nutrita lista di infortunati (Araujo, Bellerin, Depay, Koundé e Chistensen sono soltanto i lungodegenti) non ha certo facilitato il compito di Xavi. Il quale, però, si trova a gestire un gruppo ben diverso rispetto a quello che lui stesso dirigeva dal campo negli anni in cui il Barcellona dominava il mondo. Il gioco è grossomodo simile, spesso compassato ma capace di improvvise accelerazioni tutte basate sulla tecnica sopraffina dei suoi interpreti. La differenza è che in campo non vi sono più Messi, Neymar, Suarez, Iniesta e lo stesso Xavi e che i superstiti di quella gloriosa stagione (Busquets e Piqué) si trovano ampiamente dalla parte sbagliata dei trent’anni. Certo, come sempre, alla Masia il talento non scarseggia mai: Pedri e Gavi, ma anche Ansu Fati (appena rientrato da infortunio), Balde, Torre, Garcia… In particolare i primi due sono destinati a carriere eccelse, forse addirittura capaci di rivaleggiare con quelle del "profe" e del "Cavaliere pallido", dei quali non hanno però raggiunto la personalità. Il Barcellona di Xavi, nonostante il primo posto in Liga, rimane un cantiere in costruzione e non basta la presenza là davanti di Lewandowski, anche perché, come ha drammaticamente dimostrato l’Inter, le attuali magagne culé sono riscontrabili soprattutto nella fase di non possesso palla.

La Champions, a meno di miracoli difficilmente ipotizzabili, è svanita. Rimane la Liga a cui aggrapparsi, ma una sconfitta nel Clasico, a maggior ragione in un momento della stagione appena segnato dall’esclusione dall’Europa che conta, potrebbe avere pesanti ripercussioni a livello mentale. Insomma, chi ipotizzava che Xavi possedesse la bacchetta magica per far riapparire, come d’incanto, il Barça di inizio millennio, deve ammettere di aver precorso i tempi. La strada è certamente quella giusta (dal profilo tecnico senz’altro, da quello finanziario-gestionale qualche punto interrogativo si impone), ma occorre tempo. Quel tempo che, di norma, a società del peso del Barcellona non viene mai concesso.

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