Calcio

Dalle passerelle di New York a Cornaredo: l'incredibile storia di Joël Kiassumbua

26 ottobre 2017
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“Poiché io so i pensieri che medito per voi, dice l’Eterno: pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza”. È uno dei tanti versi della Bibbia (Geremia 29:11) che Joël Kiassumbua ama citare, in particolare sui suoi profili social. E probabilmente è quello che più lo ha aiutato a uscire dal momento forse più difficile della sua carriera (e non solo). Già, perché oggi il 25enne nato a Lucerna da mamma svizzera e papà congolese è il secondo portiere del Lugano e fa pure parte della nazionale maggiore congolese (con la quale ha partecipato all’ultima Coppa d’Africa), ma dietro a quel sorriso contagioso, si cela un vissuto complicato, che lo aveva portato «a perdere la fiducia in me stesso, la speranza. E a mettermi seriamente in dubbio non solo come calciatore, ma come persona». Pensare che tutto era cominciato dalla gioia più grande per un calciatore, il titolo di campione del mondo, conquistato nel 2009 in Nigeria con la U17 rossocrociata dei vari Granit Xhaka, Ricardo Rodriguez e Haris Seferovic, nonché i ticinesi Bruno Martignoni, Matteo Tosetti e Igor Mijatovic... «Anche se non sono mai sceso in campo, è stata una bellissima esperienza e sono grato di averla potuta vivere – ci racconta con grande sincerità Joël –, ma allo stesso tempo mi ha portato in una dimensione che non ero pronto a gestire. Di colpo, sono diventato famoso e ho trovato nuovi “amici” solo perché ero campione del mondo. Tutti volevano qualcosa da me e a quel punto ho perso la testa. Ho iniziato a concentrarmi su tutt’altro che il calcio, perdendo contatto con la realtà. Sono diventato arrogante, volevo tutto e subito e illudendomi di aver già raggiunto l’apice, ho smesso di lavorare sodo, preferendo inseguire lo stereotipo del calciatore di successo: soldi, donne, feste e celebrità». La realtà è però ben presto tornata a bussare con prepotenza alla porta del giovane lucernese... «Dopo i Mondiali, lo Stoke City mi ha chiamato per un provino, che ho svolto a dicembre. È pure andato piuttosto bene, ma a causa dell’indennizzo di formazione da versare al Lucerna (250’000 franchi, ndr), il club di Premier League ha ritenuto troppo alto il mio costo e non se n’è fatto nulla. Ho accusato il colpo e perso la motivazione, perché il mio sogno è da sempre quello di giocare in Inghilterra e averlo visto sfumare per così poco, mi ha buttato a terra. Inoltre vedevo i miei compagni d’avventura in Nigeria firmare per squadre importanti ed ero sempre più frustrato». A quel punto Kiassumbua sembra abbandonarsi al suo destino, che lo sballottola a destra e a manca: prima a Kriens (dove gioca pochissimo) in prestito dal Lucerna, che nell’estate 2011 non gli rinnova il contratto in scadenza. Poi arriva l’interessamento del Grasshopper, che per aggirare la solita questione dell’indennità di formazione decide di girarlo in prestito al Rapperswil... «Una situazione però insostenibile, perché vivevo dai miei genitori a Emmenbrücke e mi alzavo ogni mattina alle quattro e mezza per raggiungere Zurigo e allenarmi con il Gc, per poi aspettare tutto il giorno per allenarmi a Rapperswil la sera, prima di rientrare a casa alle 23. Ho resistito quattro mesi, poi non ce l’ho più fatta e ho rescisso il contratto. In quel preciso istante è iniziato il momento più difficile della mia carriera, perché mi sono ritrovato senza squadra per otto mesi, nei quali oltre a tenermi in forma da solo (o appoggiandomi a club amatoriali) ho dovuto cercare un modo per guadagnarmi da vivere. Sono così finito a fare il modello, entrando in un mondo della moda che mi affascina molto ancora oggi». Toccato il fondo, Joël ha trovato nella fede la forza di rialzarsi... «Sono molto credente, prego tutti i giorni e leggo la Bibbia e questo – assieme alla mia famiglia – mi ha aiutato a non mollare. In fondo è Dio che mi ha dato il talento, per cui sapevo che mi avrebbe aiutato a trovare il modo di usarlo. Ho quindi capito che dovevo cambiare qualcosa, tornare a lavorare sodo e a essere più disciplinato, perché per la prima volta solo il talento non bastava. L’ho capito e sono cresciuto». Ad agosto 2012 il destino ha deciso quindi di dargli una seconda possibilità con la chiamata del tecnico del Wohlen David Sesa: una settimana in prova, la firma, la scalata da terzo, secondo e poi primo portiere, per un centinaio di presenze in cinque stagioni di Challenge League. Il Leopardo era tornato a correre.