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JFK, il presidente campione

Nel 60° anniversario della sua morte, ricordiamo passioni sportive e impegno a favore dell'attività fisica di John Fitzgerald Kennedy

In sintesi:
  • Fin dalla tenera età, e per tutta la sua vita e la sua carriera politica, fu molto forte il legame fra John Fitzgerald Kennedy e lo sport
  • Oltre a discipline sportive piuttosto aristocratiche, il 35° presidente degli Usa praticò football e baseball, giochi popolari per antonomasia
22 novembre 2023
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«Ognuno ha nelle vene la stessa percentuale di sale che c’è nell’oceano. E abbiamo il sale anche nel sudore e nelle lacrime. Siamo legati all’oceano. E quando torniamo al mare, per competere o anche solo per assistere a una regata, torniamo al posto da cui veniamo».

Le parole che John Fitzgerald Kennedy scelse di pronunciare al taglio del nastro di una lontana edizione dell’America’s Cup stanno a testimoniare il suo viscerale amore per la vela e il profondo legame che aveva con questo sport. Del resto, aveva solo 15 anni quando dai genitori ricevette in dono la sua prima barca, uno scafo di 8 metri che volle battezzare Victura (destinata a vincere) quasi a voler in quel modo ipotecare i successi che avrebbe colto in seguito in politica e nella vita privata.

Non era certo un regalo banale, la vela non è sport proletario, ma il vecchio senatore Kennedy - con mezzi leciti e illeciti - aveva ormai fatto un monte di soldi, ed era normale che i suoi figli crescessero con tutti gli agi destinati alle classi dominanti. La ricchezza, ad ogni modo, non aveva del tutto cancellato il passato di questa famiglia di umile origine irlandese, e dunque i rampolli ebbero comunque libero accesso anche alle discipline sportive più popolari, come ad esempio il football americano e il baseball, sport plebeo per antonomasia.

Travolgente fu infatti la passione che il futuro presidente degli Stati Uniti ebbe in gioventù per la palla ovale: a football giocò con un certo successo in ogni ordine di scuola, compresa l’Università di Harvard. E il fastidiosissimo e invalidante mal di schiena che lo tormentò fino al termine della sua breve vita era figlio di una lesione spinale rimediata durante una partita disputata proprio nei suoi anni accademici.

Un danno che oltretutto, unito ai postumi delle ferite rimediate in guerra quando la sua motosilurante fu affondata dai giapponesi, nella vita borghese lo costrinse poi a rinunciare agli sport di contatto, finendo inevitabilmente per privilegiare discipline più aristocratiche come il tennis, lo sci nautico e il golf, altro sport in cui eccelleva ai tempi di Harvard: più volte fu infatti capitano della rappresentativa che ingaggiava accaniti duelli contro i rivali di Yale, altro prestigiosissimo ateneo del New England.

Pare infatti che la mattina in cui ci fu l’invasione della Baia dei porci lui se ne stesse ad affinare lo swing sui green del Burning Tree Club, esclusivo circolo con sede a Bethesda, a due passi da Washington, frequentato da molti senatori ed ex presidenti. Per mostrarsi vicino alla gente, dunque ai suoi potenziali elettori, JFK si affidò soprattutto al baseball, l’autentico passatempo nazionale americano. Essendo originario del Massachusetts, fu sempre tifoso dei Boston Red Sox, alla cui partite presenziava regolarmente all’inizio della sua carriera politica, quando ambiva dapprima alla Camera dei rappresentanti e poi al Senato: sapeva, come molti suoi colleghi d’ogni epoca, che gli stadi sono inesauribili miniere di voti. Più avanti, quando divenne presidente, si avvicinò invece ai Senators, squadra della capitale per la quale era solito lanciare - simbolicamente - la prima palla all’inizio della nuova stagione agonistica.

Kennedy però non usò lo sport soltanto come veicolo pubblicitario per i suoi interessi di carriera: credeva davvero - oltre che nei benefici di una vita sana - nell’utilità igienica e sociale della pratica sportiva, che riteneva imprescindibile come base di una nazione forte. Quando all’inizio degli anni Cinquanta aveva saputo del preoccupante aumento degli inabili al servizio registrato durante la campagna di reclutamento per la Guerra di Corea - risultato di una società sempre più consumatrice e pigra - decise che nei suoi programmi politici avrebbe sempre dato ampio spazio al sostegno e alla divulgazione delle attività fisiche, e mantenne sempre le promesse: la diffusione capillare di impianti sportivi anche nei quartieri più disagiati dell’intero Paese avvenne proprio sotto il suo impulso.

Kennedy sapeva inoltre che la Guerra fredda contro i sovietici si combatteva pure nelle palestre, nelle piscine, sulle piste di atletica, e dunque fece in modo di destinare risorse sempre maggiori alla formazione di tecnici in grado di far crescere generazioni di americani capaci di competere coi migliori atleti del Blocco comunista.

A preoccuparlo fu pure una pericolosa deriva di cui i suoi connazionali stavano diventando vittime, e cioè la tendenza a divenire - invece che atleti in prima persona - spettatori passivi di eventi sportivi, dapprima alla radio e più tardi soprattutto davanti allo schermo della tv, e dunque non mancava mai di consigliare a tutti di andare allo stadio a vedere le partite, magari in bici o a piedi, invece di farlo da casa, stravaccati sul divano. Dei pregi che lo sport e i giochi all’aperto si portano appresso il presidente ogni tanto addirittura scriveva di proprio pugno: e lo faceva, per raggiungere il pubblico più vasto possibile, nientemeno che sulle colonne di ‘Sports Illustrated’, autentica Bibbia per gli americani appassionati di ogni disciplina agonistica.

Alla base delle passioni sportive del 35° Potus, al di là del tornaconto politico, c’era l’educazione ricevuta fin dall’infanzia, trascorsa in una nazione giovane che della vita all’aria aperta e della sana competizione aveva fatto una specie di dogma, e in seno a una famiglia che queste idee le condivideva pienamente: valori che lui stesso, in seguito, riuscì a tramandare anche alle generazioni successive del vastissimo clan Kennedy, fatto di innumerevoli fratelli, cognati, cugini e dunque di una quantità ancor più sterminata di nipoti.

I giornalisti che avevano il privilegio di recarsi in visita nelle residenze di famiglia - per poi render conto dell’esperienza ai propri lettori - rimanevano impressionati dalla varietà delle attività sportive che vi si praticavano, e dall’intensità con cui tutti vi si dedicavano. E, non di rado, gli stessi reporter venivano coinvolti nelle sfide, e spesso uscivano da quei tornei infiniti - in pratica le Olimpiadi private dei Kennedy - visibilmente ammaccati. La maggior parte di questi confronti al timone di barche a vela, nel flag football, a volley, a nuoto, nel croquet, nel softball e naturalmente a tennis si svolgevano sui 24mila metri quadrati del parco della reggia estiva di Hyannis Port: l’attività muscolare laggiù era così intensa che i frequentatori avevano finito per chiamarla - spostando un’unica lettera - Hyanni Sport.

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