TICINO SCIENZA

Gong per i primi neomedici targati Usi

Il 4 settembre l’esame federale, uguale in tutta la Svizzera. Domani a Locarno il cast per gli aspiranti attori che simuleranno i pazienti

Tempi serrati e organizzazione perfetta anche durante le simulazioni dell’esame federale, al Campus Est di Lugano, il 10 febbraio scorso

Un grosso fischietto arancione spunta dalle tasche dell’équipe che, al Campus Est di Lugano, è al lavoro da mesi per organizzare in modo perfetto l’esame federale per gli studenti di medicina, in programma il 4 settembre. Sarà un giorno storico per l’Università della Svizzera italiana e, possiamo dire, per il Ticino, perché per la prima volta verranno abilitati alla professione medica studenti – soprattutto della Svizzera tedesca – che hanno studiato qui, nel nostro Cantone, invertendo una prassi che si protraeva da sempre (l’emigrazione dei ragazzi ticinesi verso le facoltà di medicina della Svizzera interna). Ma cosa c’entra il fischietto arancione? C’entra, perché il 4 settembre gli esami clinici-pratici federali (in termine tecnico, esami Osce: Objective Structured Clinical Examination, che seguono quelli teorici) per i 47 laureati in medicina all’Usi dovranno svolgersi in perfetta sincronia con le prove identiche organizzate anche in tutte le altre facoltà di medicina svizzere, lo stesso giorno, alla stessa ora. E se si bloccherà, per qualche motivo, il sistema informatico che governa il gong destinato a scandire i vari momenti delle prove Osce (ogni studente dovrà visitare 12 pazienti), il fischietto potrà scandire in modo inflessibile il tempo.


Alfio Tommasini
Barazzoni, responsabile esami Osce per l’Usi

Sincronia svizzera, equità riconosciuta

«L’assoluta contemporaneità di questi esami nell’intera Svizzera, con gli studenti che dovranno occuparsi di casi clinici stabiliti da un’apposita commissione federale e uguali per tutti, è un elemento fondamentale per il buon esito e l’imparzialità degli esami stessi – spiega Fabrizio Barazzoni, responsabile degli esami Osce per l’Università della Svizzera italiana –. Il sistema Osce è stato attivato una decina di anni fa proprio per fare in modo che tutti gli studenti di medicina, terminato il corso di studio, potessero affrontare in modo uguale, con le stesse chance, gli esami clinici pratici che, unitamente a quelli teorici, abilitano poi alla professione. Prima, invece, ogni università procedeva per conto suo, pur seguendo linee guida simili. Così allo studente di un determinato ateneo poteva capitare un esaminatore più severo di altri, o un paziente più difficile da decifrare. Con il sistema Osce, invece – continua Barazzoni – gli esaminatori non “interrogano”, ma devono limitarsi a controllare (inserendo i dati su un iPad) che gli studenti facciano le domande giuste ai pazienti, eseguano le previste manovre diagnostiche, decidano di prescrivere le analisi e gli esami strumentali adeguati, e naturalmente cerchino anche di identificare la diagnosi più probabile (che è uno dei criteri richiesti)».

La grande simulazione

L’idea è molto buona, ma anche molto complessa da mettere in pratica. Com’è possibile, in particolare, raccogliere decine, anzi, centinaia di pazienti che abbiano tutti la stessa patologia, allo stesso grado, nello stesso momento, da sottoporre a 1’200 studenti di città diverse (questo sarà il numero complessivo di ragazzi e ragazze che sosterranno gli esami all’inizio di settembre)? La risposta è semplice: negli esami Osce gli studenti non hanno a che fare con pazienti veri (dunque, mutevolissimi, per definizione), ma con persone che simulano le malattie: persone (in pratica, attori, anche se non professionisti) che vengono selezionate e preparate per questo, con una vera e propria sceneggiatura, truccatori, registi e un team di esperti che li istruisce. Una tale impostazione garantisce che gli studenti di medicina, indipendentemente dall’università in cui studiano, abbiano di fronte persone che si comportano allo stesso modo.

‘Malati’ germanofoni cercansi

Ingaggiare e istruire queste persone richiede un grandissimo sforzo organizzativo, e anche un forte esborso di denaro, da parte della Confederazione per gli esami Osce federali. Con un problema in più, nel nostro Cantone. «Abbiamo un ampio archivio di aspiranti attori (o, meglio, pazienti simulanti) – spiega Fabrizio Pestilli, uno dei quattro “trainer” attivi in Ticino per gli esami Osce – ma pochi di loro parlano fluentemente anche il tedesco. Dunque non vanno bene per l’esame finale che, in settembre, verrà proposto in due lingue, a scelta dello studente (italiano o tedesco, appunto), visto che la maggior parte dei neo-medici arriva dal Politecnico di Zurigo e dall’Università di Basilea (dove hanno frequentato i primi tre anni di bachelor, mentre a Lugano hanno seguito il quarto, quinto e sesto anno del corso di laurea, cioè il Master, ndr)». Domani (1° aprile) verrà organizzato un nuovo casting (dopo gli altri dei mesi scorsi), presso la Supsi in Piazza San Francesco 19 a Locarno, ore 13.30. È consigliata la prenotazione telefonando al numero 058 666 49 03, ma verranno accolte anche le persone che si presenteranno all’ultimo.


Alfio Tommasini
Il ‘trainer’ Fabrizio Pestilli

Fuori in 15 minuti

Siamo sicuri, però, che funzioni bene il sistema dei pazienti simulati? «Sì, assolutamente – continua Pestilli. – La Svizzera ha importato questo sistema dal Nordamerica (Stati Uniti e Canada), dove i pazienti simulati vengono utilizzati non solo per gli esami finali, ma anche per molti tipi di lezioni, o per i corsi degli infermieri e di altre professioni sanitarie».

Dunque, torniamo al fischietto arancione o, meglio, al gong elettronico. Suonerà il 4 settembre esattamente alle 9. I 47 studenti dell’Usi verranno divisi in due gruppi: uno la mattina e un altro il pomeriggio (sempre in contemporanea con gli altri atenei svizzeri). I due gruppi non potranno mai venire a contatto, quel giorno. Nel Campus Est lo staff organizzativo, molto numeroso e ricco di specialisti, allestirà 12 finti ambulatori, ognuno con un lettino per le visite, più tutte le altre attrezzature mediche necessarie. In ogni ambulatorio, naturalmente, ci sarà un paziente (o, meglio, un paziente simulato), più un esaminatore. Gli studenti avranno esattamente 13 minuti per ogni paziente, più 2 minuti iniziali per leggere il “compito” (una descrizione del problema), all’ingresso dell’ambulatorio, in un’apposita teca. Ogni quarto d’ora il gong suonerà e gli studenti dovranno passare nella postazione successiva, anche se non saranno stati in grado di ultimare la visita.

Nessuna fretta sull’empatia

Ma non è un messaggio sbagliato questa enfasi sui 15 minuti, che vanno rispettati in modo così rigido, scandito addirittura dal gong? In altre parole, non sarebbe meglio inserire negli esami anche la parte più olistica, cioè anche quell’ambito che riguarda la storia familiare del paziente e tutti gli altri elementi, anche non strettamente medici, che possono influire fortemente, a volte, sul decorso di molte malattie? «Il ritmo dei 15 minuti segue esigenze organizzative – spiega Giovanni Pedrazzini, decano della Facoltà di scienze biomediche dell’Usi – visto che i pazienti simulati da visitare sono 12, e dunque già con questi tempi stretti (un quarto d’ora per ogni paziente) l’intera sessione arriva a durare 3 ore per lo studente: un tempo comunque lungo e impegnativo. Andare oltre sarebbe probabilmente troppo, come fonte di stress e anche come impegno per chi organizza gli esami. Ma voglio precisare – aggiunge Pedrazzini – che la parte legata all’ascolto del paziente e all’empatia conta moltissimo nella valutazione. Insomma, se uno studente si dimostra bravo a fare le diagnosi, ma incapace di parlare ai pazienti e di trattarli con la necessaria attenzione, rischia di venire bocciato. Nella tradizione svizzera il rispetto delle persone, dentro gli ambulatori e gli ospedali, è sacra. Quando gli studenti si troveranno, poi, a esercitare realmente la professione, avranno comunque la possibilità, dopo la prima visita, di convocare nuovamente i pazienti, se necessario, per approfondire i temi più ampi legati alla loro malattia e al loro ambiente. Lo facciamo sempre, nei nostri ospedali. Un po’ più difficile realizzarlo durante un esame...».

Una rubrica a cura di Ticino Scienza per

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