
Forse non ce l’avevano promesso, ma per lo meno un po’ ci avevano illusi: da fine ‘800 le storie di fantascienza e le illustrazioni di inventori visionari, spinti dall’onda del progresso scientifico incalzante, ci raccontano di un futuro fatto di case intelligenti, con la cucina in grado di preparare pasti da sola, la moquette che si auto-pulisce e un robot-maggiordomo che risponde ad ogni nostra necessità.
Il sogno è diventato visione fra gli anni cinquanta e sessanta, quando si pensava che nel giro di una decina d’anni le abitazioni si sarebbero improvvisamente automatizzate. Spinti dall’avanzamento tencnologico si sarebbe dovuti giungere, senza quasi accorgersene, a un mondo simile a quello in cui vivono i Jetson (I pronipoti), celebre serie animata di Hanna & Barbera ambientata attorno al 2060. Secondo gli sceneggiatori, nel futuro sarebbe bastato premere alcuni pulsanti per vedersi servita la colazione, mettersi davanti allo specchio per farsi spazzolare i denti e schiacciare un tasto per mandare i figli a scuola. Cinquant’anni dopo, le case intelligenti sono ancora materia del futuro e di Rosie, la quarantacinquenne cameriera-robotica dei Jetson, non si intravvede nemmeno l’ombra.
«Il mondo dei “Pronipoti” non è realizzabile né oggi, né tanto meno a breve termine – ci dice Gian Carlo Dozio, docente ricercatore presso il Dipartimento di tecnologie innovative della Supsi ed esperto di sistemi residi denziali automatizzati –. Quarant’anni fa la tecnologia permetteva di immaginare una casa interamente automatizzata, dove chi vi abitava non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente; ma a quei tempi i costi di realizzazione erano decisamente proibitivi e i sistemi, basati sull’informatica degli anni ottanta, di difficile configurazione. Per farlo non era sufficiente un elettricista, ma bisognava rivolgersi a un ingegnere informatico». Mancavano i mezzi, non le idee. «Oggi i prezzi della tecnologia sono scesi parecchio e l’avvento dei moderni computer permetterebbe a chiunque di gestire la propria casa intelligente», rileva Dozio. L’humus tecnologico c’è, eppure è solo timidamente che i primi robot tagliaerba o i primi aspirapolvere robotizzati entrano nelle nostre case. Perché? «Le persone sembrano considerare questa tecnologia ancora troppo cara per i vantaggi che porta– riferisce l’esperto – e non pochi produttori tengono i progetti di elettrodomestici domotici chiusi in un cassetto attendendo che vi sia mercato».
Se oggi non abbiamo i frigoriferi che dialogano con il forno per comunicare i tempi di cottura o che ordinano da soli gli alimenti tramite internet è perché, forse, non ne vediamo (ancora) l’utilità. Vi sono però degli aspetti della domotica che negli ultimi anni hanno fatto registrare un forte incremento d’interesse, soprattutto nel campo della sicurezza e della sanità. «Un sistema domotico classico è quello che, registrando la presenza (o l’assenza) di persone in un ambiente, accende o spegne le luci. I sensori che rendono possibile l’operazione possono però essere trasformati in efficaci antifurto, senza bisogno di installarne uno separatamente. In futuro, uscendo di casa, si potrà premere un unico pulsante per far abbassare le tapparelle, spegnere tutte le luci e chiudere le porte di casa. Da quel momento, qualora i rilevatori all’interno dell’abitazione dovessero avvertire la presenza di una persona, la identificherebbero come un intruso e farebbero scattare l’allarme». Sicurezza che sarebbe anche preventiva: «Una casa intelligente potrà, ad esempio, essere programmata per simulare la presenza dei proprietari, anche quando questi si trovano altrove. In caso d’incendio, poi, i pompieri saprebbero dove si trovano le personedasalvare basandosi sull’ultimo dato rilevato dal cervellone casalingo».
Nei prossimi anni le case intelligenti potrebbero però trovare il loro primo impiego nell’aiuto ad anziani e disabili. Un esperimento, condotto dalla Supsi sotto la supervisione di Dozio, valuterà l’efficacia della domotica in questo campo: «La Società ticinese per l’assistenza dei ciechi (Stac) e la città di Lugano ci hanno messo a disposizione tre, rispettivamente quindici appartamenti occupati da persone anziane e/o diversamente abili da domotizzare. Si tratterà di installare sistemi che aiutino queste persone nella loro vita quotidiana, garantendo loro al contempo un alto grado di autonomia. Nel nostro progetto prevediamo, per esempio, di dotare i residenti di un’apparecchiatura che sia in grado di misurare le funzioni vitali e di rilevare situazioni pericolose per persone non vedenti, come ad esempio ostacoli imprevisti.
I dati verranno analizzati dal computer dell’abitazione, che – in caso d’emergenza – potrà allertare l’aiuto domiciliare, i parenti o il personale di soccorso». Il sistema automatizzato potrebbe occuparsi anche di avvertire l’utente in caso di mancata assunzione dei medicamenti e un ulteriore campo d’applicazione potrebbe essere la telemedicina. «Non vogliamo automatizzare l’intera vita degli anziani e dei disabili. Piuttosto vorremmo stimolarli a rimanere attivi, facendo intervenire la tecnologia solo su richiesta dell’utente o in quegli ambiti dove la persona non può più essere autonoma».
Il progetto entrerà nel vivo nei prossimi mesi, con l’analisi dei requisiti per gli appartamenti da domotizzare. Entro i prossimi anni i ricercatori confidano di avere dei dati concreti per poter stabilire se la casa intelligente sarà il bastone tecnologico della nostra vecchiaia.