
Lo si impara sin da neonati: per interagire con il mondo si usano lemani. Per riuscire a farlo con destrezza si impiegano più o meno i primi dodici mesi della propria vita, afferrando, maneggiando e rifacendo le stesse cose per giornate intere. Un vero e proprio allenamento intensivo che però dà i suoi frutti. E difatti da lì in poi la realtà la si percepisce, ma soprattutto la si modifica, a tatto.
Dal canto suo, da anni la tecnica di largo consumo cercametodi per rendere più facile l’interazione fra uomo e macchina, sfruttando il più possibile quanto l’utente già conosce. Tuttavia per ora non si è mai riusciti ad abbattere la barriera del mouse, che costringe gli utenti novelli a lunghe ore di apprendistato per coordinare imovimenti orizzontali della periferica con quelli verticali della freccia.
C’è però una tecnologia che potrebbemandare in pensione il mouse e, al contempo, fare tesoro di quei dodicimesi di apprendistato neonatale. È il “touch”, in circolazione da diversi anni, ma decollato solo negli ultimi tempi con l’avvento, soprattutto, degli smartphone. In questi apparecchi, tasti e cursori lasciano il posto ad un grande schermo sensibile al tocco delle dita. Per interagire con loro, basta allungareunamano e indicare ciò che si vuole fare. Un po’ come si è imparato sin da bambini. Sull’onda del successo con i telefonini di ultima generazione, sono spuntati sugli scaffali dei negozi sempre più schermi in grado di riconoscere i movimenti dei polpastrelli. Sembrerebbero pure tornati dimoda i tablet Pc, portatili il cui schermo “touch” può essere girato di 180 gradi e adagiato sopra la testiera. Erano già apparsi sulmercato anni fa,ma allora si utilizzavano quasi unicamente con una penna e non avevano ottenuto particolare successo. Ora invece potrebbero avere una seconda chance con il fenomeno del “touch”, in piena evoluzione, tanto da far prevedere ad alcuni analisti che il mercato dei pannelli sensibili al tocco passerà da un fatturato di poco più di 4 miliardi di dollari (2009) a oltre 9 miliardi nel 2015.
«In questo campo è molto difficile prevedere il futuro: le variabili sono sia tecnologiche sia di mercato. Inoltre anche gli aspetti sociali sono importanti – spiega Marco Faré, ricercatore presso il webatelier.net dell’Università della Svizzera italiana ed esperto d’usabilità –. Certamente per alcuni dispositivi, come gli smartphone (i telefonini più avanzati), l’interfaccia touch offre dei vantaggi sostanziali: in uno spazio ridotto, quello dello schermo, si concentrano output e input. Quest’ultimo si adatta al contesto d’uso: può essere in modalità tastiera, tastiera numerica o interfaccia punta e tocca. La tentazione di applicare queste soluzioni anche ad altri tipi di apparecchi è forte. Difatti vediamo già i primi pc con schermi touch e dispositivi come l’iPad».
Quanto l’uso delle dita per interagire con una macchina facilita (o complica) l’esperienza dell’utente?
«Per quanto ormai ci siamo abituati, l’interfaccia schermo-tastiera-mouse non è naturale. Toccare direttamente gli oggetti con le proprie dita, ancorché su uno schermo, è unmodo di interagire che conosciamo meglio. Vi sono tuttavia dei limiti nella tecnologia di cui attualmente disponiamo, che possono generare frustrazione. In particolare, mi riferisco alle imprecisioni nelle aree di contatto e alla velocità di risposta. Quanto questo andrà a influire sulle valutazioni di usabilità, è ancora tutto da vedere».
Andranno ripensate le interfacce attuali, concepite per l’uso con il mouse. Quali sono le linee guida per un software “a prova di dita”?
«La ricerca in questo campo procede in varie direzioni. Esistono molti dispositivi con cui interagire: pc, pc portatili, netbook, i citati smartphone, videogiochi portatili. L’imprecisione nell’uso delle dita, a differenza della precisione del mouse, richiede banalmente più spazio per le aree sensibili. Ma una delle sfide più importanti sarà quella di trovare delle metafore condivise, come è adesso quella della scrivania per il pc, in modo che il passaggio da un dispositivo all’altro sia semplice e non richieda di imparare nuovi concetti e nuove pratiche».
Dieci anni fa la tecnologia “touch” non è riuscita a sfondare. La seconda offensiva potrebbe avere successo? Magari sulla spinta di prodotti come l’iPad...
«Il mercato èmolto complesso e sovraccarico. Esistono decine di tipi di dispositivi diversi e per un consumatore non è facile orientarsi. La scelta comporta valutazioni di costo, di necessità, di praticità d’uso e gli aspetti sociali: cosa fanno, cosa usano le persone che conosco? L’iPad non sembra offrire sostanzialinovità rispetto ad altri apparecchi, ma soprattutto, è un aggeggio in più. Esso non sembra in grado di sostituire né il telefonino (o lo smartphone), né il netbook. Tanto meno il pc o il pc portatile. Il fascino della mela però è potente e potrebbe attrarre abbastanza utilizzatori da avere un pubblico sufficientemente ampio per generare un volano di interessi, coinvolgendo i produttori e i distributori di contenuti e di software».