Racconto della settimana

Non di più colpo che Soave vento

23 settembre 2015
|

La ricerca della confessione di Pietro Caimi attraversò fasi alterne, tra momenti di intensa attività e lunghi periodi di stallo, dovuti allo studio e alle distrazioni che fioriscono nel giardino di chi è giovane e in perfetta salute. Inizialmente, soprattutto per colmare il grande vuoto lasciato dalla scomparsa di mia nonna, mi buttai sulle tracce del mistero, raccogliendo informazioni sul luogo che ne celava la soluzione. Inaugurato nel 1897 per ospitare il Collegio Dante Alighieri, quattro anni dopo l’edificio era passato dalle mani della Banca Cantonale a quelle più devote dei Padri Somaschi, sotto il nuovo nome di Francesco Soave. Il lavoro assillante assorbiva le energie dei Padri a servizio dei piccoli, che, di generazione in generazione, occuparono le aule del Collegio e si arrestò solamente nel 1993. Da allora le voci argentine degli alunni smisero per sempre di risuonare nel cortile. In quell’aprile del 2002 l’Istituto era quindi ormai chiuso da anni e già si parlava di una possibile demolizione: come recuperare l’Inferno con le memorie di Pietro? Fu il destino che, qualche mese dopo, mi fece trovare la chiave di accesso del Collegio nell’entusiasmo di alcuni miei coetanei di Bellinzona. I “Folletti Urbani” rivendicavano uno spazio per attività di autogestione in una città che pensava più al benessere degli imprenditori che a quello dei suoi giovani. Nel corso di una riunione venne decisa l’occupazione del Francesco Soave, sull’esempio del “Collettivo del Fantasma del Mattirolo” a Mendrisio. Un’occasione da non perdere che permetteva di rispondere ai miei ardori giovanili da un lato e alla mia sete di verità dall’altro. Il 23 dicembre di quello stesso anno entrai per la prima volta al Francesco Soave. Discorsi, letture, gruppi di lavoro e festeggiamenti vari, si rincorrevano però senza soluzione di continuità: prima che riuscissi anche solo a mettere un piede nel vecchio teatro arrivò la Polizia e, con benedetta carità cristiana, ci intimò di sgomberare l’edificio. Si interruppe così la nostra occupazione al Francesco Soave e con essa il mio interesse alle memorie di Pietro Caimi. Pochi mesi dopo infatti mi recai a Zurigo per studiare matematica e muovere i primi passi nell’insegnamento. Il sudore causato dalla mia nuova professione sostituì completamente il sangue dei delitti commessi più di cento anni prima.

Rientrata a Bellinzona, trovai però ad aspettarmi i fantasmi del passato. Presi casa in un appartamento in via Ghiringhelli. La finestra della mia camera si affacciava sulle mura fatiscenti del vecchio Istituto e la voce di Pietro Caimi, che risuonava insistente come le campane di Santa Maria delle Grazie, chiedeva di essere ascoltata.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔