laR+ Quando cade un quadro

Simpatici Monelli

Per un pezzo di carta, una vita che cambia

Nelle baracche, ai piedi dei ghiacciai, la notte scaccia veloce la sera e, nel mesto silenzio ripercorro remoti sentieri, indelebili immagini scorrono nella mente, gioiosi anni d’infanzia in remoti orizzonti e un limpido cielo di campagna. Io e Vito simpatici monelli, puledri selvatici, ribelli a luoghi chiusi. Ricordi Vito, quando correvamo scalzi e spettinati sotto la pioggia e la grandine ci sferzava il viso? No, ora non puoi. Io, nelle tediose sere per sentirti vicino rimembro le nostre scorribande, noi avvezzi monelli campagnoli, succhiavamo le uova fresche nei pollai, bucando i gusci con lo spillo e riponendoli intatti sulla paglia; rubavamo le ciliegie, arrampicandoci fino in cima curiosando nei nidi e rido da solo, Vito, quando il vecchio contadino ci sorprese a mangiare ciliegie e, imbracciando la scure finse di abbattere la pianta. Che spavento quel giorno! S’andava a fave e a piselli, more, noci, per noi monelli affamati la frutta acerba era manna. Smaliziati i nostri furti a casa nostra: Un po’ di pane, salame, olive e fichi secchi, mangiavamo come due fratelli, lasciando ai passeri gli avanzi. Nati e cresciuti nell’angusta, mitica ruga, vegliati da mamme e nonne premurose, sempre pronte a spargere olio d’oliva su fette di pane casereccio. Ricordi Vito, quando a sera i contadini ritornavano dai campi lamentosi e stanchi, inveivano contro il cielo, per la pioggia che tardava a bagnar l’arida terra dalle fessure profonde come ferite dolenti. Memore la nostra fiumara: d’estate vagavamo a stormi, scandagliando nuovi meandri ove sguazzavamo nudi spruzzandoci, finché sfiniti e stanchi ci addormentavamo sui sassi lisci e roventi. Nei campi all’ombra degli argentei ulivi, miravamo meravigliati il via vai, d’asini e muli, su e giù per la mulattiera con gravosi carichi, nonché dai carri trainati dai buoi sulla strada sterrata e polverosa, ancor di più ci stupivano le rondini che ricamavano il celeste. Che pena la lontananza!... Quanto mi manchi amico mio, ingrato il fato che ci disperse per il mondo, smarriti, sconcertati, ma indomiti. Giugno 1966, con amarezza rimembro l’infausto telegramma inviatomi da mia madre, la notte precedente fu insonne in preda agli incubi, rincasai molto stanco dal cantiere montano, mi docciai e presi posto alla mensa per la cena. Sotto il piatto notai un telegramma, conscio che non portava buone nove, senza esitare lessi: “Caro figlio, purtroppo devo darti una brutta notizia, Vito è morto in Vietnam”. Un groppo al cuore, sconsolato andai a letto a piangere da solo. Vito, fedele amico! Per un pezzo di carta, “Cittadinanza U.S.A.” un tozzo di pane, ti arruolarono in una sporca guerra! Ci penso sempre sai? E non mi do pace. Dicono che riposi in un grande cimitero con tante croci, sulla tua forse solo il nome oppure un numero, chissà se hai socchiuso gli occhi all’alba o al crepuscolo, una ferita profonda mi lacera il cuore quando tocco con mano una realtà diversa da quella sognata.