Curiosità

Allo studio delle mascherine che ‘uccidono’ i virus

Il nuovo metodo si basa sul colorante ‘rodamina R18’ che emette luce colorata come indicato dal Laboratorio di prova dei materiali e di ricerca

Allo studio
(Ti-Press)
8 dicembre 2022
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Utilizzando un nuovo metodo di analisi, alcuni ricercatori sono riusciti a tracciare i virus nel loro percorso attraverso gli strati filtranti delle mascherine facciali. Ciò dovrebbe accelerare lo sviluppo di superfici in grado di uccidere i virus, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports.

Il nuovo metodo si basa sul colorante "rodamina R18" che emette luce colorata, scrive in una nota il Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca (Empa).

Tutto nel colore

I virus utilizzati – innocui e resi inattivi – sono accoppiati al colorante e producono una fluorescenza non appena vengono danneggiati. "La fluorescenza indica in modo affidabile, rapido ed economico se i virus sono stati uccisi", afferma, citato nella nota, Peter Wick, del laboratorio "Particles-Biology Interactions" della sede dell’Empa a San Gallo.

In base a questo principio, il team di ricercatori ha scoperto che nel caso delle mascherine in tessuto e in quelle igieniche, la maggior parte dei virus viene uccisa nello strato intermedio, tra quello interno e quello esterno. Nel caso delle mascherine Ffp2, è il terzo dei sei strati a "brillare" di più. Anche in questo caso è lo strato intermedio a intercettare molti virus.

Complessi test

Il nuovo procedimento dovrebbe accelerare lo sviluppo di superfici che uccidono i virus. "Le superfici con proprietà antivirali devono soddisfare determinati standard ISO, il che comporta complessi test standard", spiega Peter Wick.

Il metodo dell’Empa basato sulla fluorescenza dovrebbe invece rendere più facile, veloce ed economico determinare se un nuovo rivestimento sia in grado di uccidere i virus in modo affidabile.

Ciò è interessante sia per le superfici lisce, come i piani di lavoro o le maniglie, sia per i rivestimenti tessili con superfici porose, come maschere o sistemi filtranti. Queste conoscenze potrebbero inoltre essere integrate già in una fase iniziale nel processo di sviluppo di applicazioni tecniche e mediche, scrive ancora l’Empa.

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