Storia dell’arte

Valori necessari: oggi come ieri

A Mendrisio la mostra commemorativa dedicata ai trattati di Locarno del 1925. Immagini, testi e oggetti come strumenti critici che illuminano il presente

Gli archivi raccontano storie che trasformano la memoria in conoscenza viva
(depositphotos)

È stata recentemente inaugurata, presso la Biblioteca dell’Accademia di architettura di Mendrisio, una mostra commemorativa dedicata al centenario dei Trattati di Locarno del 1925, dal titolo “La follia della guerra”, a cura del professor Christoph Frank, (Direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte e Architettura dell’Accademia di architettura e Direttore Scientifico della Biblioteca dell’Accademia).
La mostra, aperta fino al 26 marzo prossimo, è dedicata ai temi della guerra, della pace, dell’umanità e della libertà – concetti che, in diversi momenti storici, hanno trovato nella Confederazione svizzera un terreno fertile di riflessione e dibattito. L’esposizione ripercorre oltre cinquecento anni di pensiero pacifista sviluppatosi a Basilea, Locarno e Ginevra, città poste agli estremi geografici e linguistici del Paese.

L’idea della mostra è nata durante l’ultimo Festival di Locarno, quando il professor Frank, intervenendo alla Giornata della diplomazia, ha parlato dello “Spirito di Locarno”, richiamando la speranza di pace e cooperazione internazionale suscitata dalla Conferenza del 1925 e dal successivo Patto: un gesto che, per alcuni anni, pose le basi di un dialogo e di un equilibrio internazionale inediti. Nel suo discorso Frank aveva sottolineato la forza universale delle immagini – dal cinema all’opera di Aby Warburg – e il valore dei Trattati come tentativo coraggioso di sostituire le armi con la ragione, la diplomazia e la fiducia reciproca.

Testimonianze quasi dimenticate

Cento anni fa, infatti, sette grandi potenze europee si riunirono a Locarno per sottoscrivere un accordo di pace: un insieme di sette trattati firmati da Germania, Francia, Belgio, Italia, Gran Bretagna, Polonia e Cecoslovacchia, sedute attorno allo stesso tavolo con l’obiettivo di stabilire regole di sicurezza e alleanza, così da evitare che l’Europa ripiombasse nel disastro della Grande Guerra. Una speranza, purtroppo, di breve durata. La Svizzera, pur non partecipando ai negoziati in quanto Paese neutrale, riflette ancora oggi quello spirito di cooperazione e sicurezza collettiva incarnato da quell’iniziativa. È dalla metà del XIX secolo che il carattere nazionale svizzero si orienta progressivamente verso la promozione della pace, dell’umanità, della solidarietà e della libertà: valori oggi sanciti tra i principi fondamentali della Costituzione federale.

«Poiché durante la preparazione del discorso la mia attenzione si soffermava spesso su una stampa in particolare», racconta il professor Frank, «ho iniziato a cercare altre testimonianze di carattere artistico. Ho così trovato materiali molto interessanti, quasi dimenticati, soprattutto dei caricaturisti Aloysio Derso ed Emery Kelen che, disegnando caricature in occasione dei principali trattati del periodo e durante i negoziati tra le due guerre, dal 1920 al 1937, erano diventati una sorta di caricaturisti ufficiali della Società delle Nazioni e della Lega delle Nazioni di Ginevra. Presenti anche a Locarno, avevano realizzato un vero e proprio reportage grafico di quanto accadde durante la Conferenza, culminando, a trattati firmati, nel menu del pranzo conclusivo, in cui tutti i partecipanti erano rappresentati con grande acume satirico. È una meraviglia vedere come ogni figura sia resa nei suoi tratti più caratteristici, al punto da comprendere immediatamente chi fosse e quale posizione rappresentasse. Il menu, firmato da tre dei protagonisti principali della Conferenza – Aristide Briand, Austen Chamberlain e Gustav Stresemann – è esposto in mostra».

Il menu era quello allegato al pranzo finale che accomunava giornalisti e diplomatici. Una prima, che sarebbe poi diventata un’abitudine negli anni successivi, che ha coinvolto in seguito molti disegnatori caricaturisti.
Ogni vetrinetta dell’esposizione presenta alcune delle risposte artistiche generate da quel momento storico: documenti originali di grande valore che invitano a riflettere su come la conoscenza, custodita nelle biblioteche, diventi nel tempo una matrice viva di memoria e di dialogo contemporaneo.

Protagonisti nei secoli

Il percorso espositivo, che attraversa cinquecento anni di pensiero pacifista, inizia con Erasmo da Rotterdam, filologo, teologo e filosofo umanista del XVI secolo, autore dell’“Elogio della follia” e degli “Adagia”, raccolta di proverbi e massime pubblicata nel 1515 a Basilea. Tra questi emerge Dulce bellum inexpertis, centrato sull’idea che la guerra sia una di quelle esperienze che non si comprendono appieno finché non le si vive in prima persona. Il susseguirsi delle vetrine mostra testi di intellettuali, pagine, disegni, stampe di opere architettoniche e fotografie. Il percorso ricostruisce, da Erasmo e Holbein fino a William Kentridge, una tradizione di riflessione sulla follia, sulla satira e sul pensiero critico che attraversa i secoli. C’è anche un riferimento a Basilea, città che ancora oggi incarna una profonda cultura umanistica tardo-medievale, rappresentata dalla presenza continuativa proprio di Erasmo da Rotterdam e di Hans Holbein: i due protagonisti della parte iniziale della mostra.

L’esposizione presenta documenti originali, in gran parte provenienti da una collezione privata, di grande valore e significato, capaci di offrire spunti di riflessione sul modo in cui la ricerca si forma e si coltiva in una biblioteca – personale, privata o istituzionale – che nella stratificazione dei propri materiali diviene una matrice commemorativa da cui possono emergere molteplici associazioni contemporanee. L’obiettivo è mostrare come il patrimonio umanista rinascimentale sia oggi più attuale che mai, da rileggere e analizzare per ritornare alle radici del pensiero repubblicano e democratico.

Lo spirito di Locarno

La mostra si conclude con gli eventi di Locarno del 1925, quando la Società delle Nazioni cercò di superare la devastazione della Prima guerra mondiale. Sulle rive tranquille del Lago Maggiore, le grandi potenze europee siglarono il Patto di Locarno, risultato della conferenza svoltasi dal 5 al 16 ottobre 1925. La scelta della sede fu dettata dalla neutralità svizzera e dalla vicinanza geografica all’Italia, che facilitò la partecipazione di Benito Mussolini, rappresentante di un Paese membro permanente del Consiglio della Società delle Nazioni.

È in questo contesto che nacque l’Esprit de Locarno, quella breve ma intensa stagione di speranza diplomatica che caratterizzò la seconda metà degli anni Venti: il rifiuto della guerra come strumento politico, il rispetto dei confini occidentali e l’impegno ad affrontare i conflitti attraverso il dialogo e l’arbitrato internazionale. Un nuovo approccio alle relazioni internazionali basato sulla sicurezza collettiva e la cooperazione tra le nazioni.

Grazie alle personalità di Gustav Stresemann, Joseph Austen Chamberlain e Aristide Briand – insigniti del Premio Nobel per la Pace – lo “Spirito di Locarno” divenne sinonimo di distensione, con valori che sarebbero oggi più necessari che mai in un contesto geopolitico globale fragile e frammentato.

Un esempio di come il lavoro di uno storico dell’arte possa fornire strumenti critici per illuminare il presente: immagini, testi e oggetti rivelano come i dilemmi di un tempo — la guerra, la pace, la responsabilità collettiva — continuino a risuonare nelle sfide attuali. In questo quadro, emerge il ruolo dell’università: attraverso la ricerca, la tutela dei patrimoni e la capacità di interpretare in profondità le eredità culturali, si trasforma la memoria in conoscenza viva, offrendo alla società strumenti per orientarsi nella complessità del mondo contemporaneo.

Servizio comunicazione Usi