L'editoriale

Il tempo gioca contro Atene

13 maggio 2015
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È ormai da febbraio che le riunioni dell’Eurogruppo hanno all’ordine del giorno gli aiuti alla Grecia. Ed è sempre da quella data che si preannunciano progressi, ma il credito ponte da 7,2 miliardi di euro rimane bloccato. Intanto un’altra tranche del debito nei confronti del Fondo monetario internazionale è stato onorato. Il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis è stato chiaro: “La Grecia rispetterà sempre i suoi obblighi verso i creditori”. Un modo per rassicurare i mercati e soprattutto i partner europei sulle buone intenzioni del suo governo che punta a ottenere un buon accordo per tutte le parti in causa. Un default non conviene ad Atene, né a Bruxelles e nemmeno a Berlino. Il tempo però per la Grecia stringe. La liquidità è sempre più scarsa e un incidente di percorso (leggasi improvviso default) è sempre dietro l’angolo. Tra giugno e agosto, infatti, sono previste ulteriori scadenze da onorare e questa volta nei confronti della Bce: ben 6,55 miliardi di euro. A cui bisogna aggiungere altri due miliardi circa sempre a favore dell’Fmi. Una cifra di cui il governo di Atene quasi certamente non dispone. Come, si è scoperto ieri, non disponeva dei 750 milioni di euro usati per tacitare temporaneamente il Fondo monetario internazionale. La maggior parte di quella somma (600 milioni) – stando a fonti del governo ellenico citate da Reuters – proverrebbe dalle cosiddette riserve Sdr (diritti speciali di prelievo) detenute presso lo stesso Fmi. È come se – per fare un paragone azzardato – un inquilino moroso pagasse i mesi di affitto arretrati con la cauzione versata al momento della stipulazione del contratto di locazione. Insomma, un messaggio contraddittorio sulla gestione della liquidità delle casse greche. Solo poche settimane fa il governo di Alexis Tsipras aveva rastrellato in modo più o meno forzoso circa 600 milioni di euro di liquidità dagli enti pubblici centralizzando la tesoreria presso la Banca nazionale greca per coprire le esigenze di breve termine. Intanto l’ultimo Eurogruppo si è chiuso ancora con un nulla di fatto. Le trattative proseguono e addirittura il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble si è detto favorevole a un eventuale referendum. Sarebbero in questo caso i cittadini greci a dire sì o no all’accordo tra i creditori e il proprio governo. Un modo per allontanare da Berlino le responsabilità di un fallimento per addossarlo ai soli greci. Appare ancora più evidente, quindi, che la dialettica – anche se è più una partita a scacchi – per la soluzione della trattativa è tra la Germania e la Grecia o meglio tra Angela Merkel, portabandiera delle politiche di rigore e Alexis Tsipras, portavoce di un’altra Europa. Una lotta ideologica combattuta per interposta persona al tavolo del negoziato. La vittoria di uno equivale alla sconfitta della visione economica dell’altro. Per questa ragione, lo stesso Tsipras che aveva proposto il referendum come arma di ricatto per risolvere il negoziato a suo favore ora si ritrova la stessa arma puntata contro. La responsabilità di dire sì o no al terzo piano di salvataggio alle condizioni tedesche è in mano ad Atene. Gli altri pesi massimi dell’euro (Francia e Italia), creditori tanto quanto Berlino, stanno a guardare e non si capisce per chi facciano il tifo.

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