laR+ L'analisi

Israele-Palestina, manuale di una tragedia

La tragica vicenda del conflitto é pragmaticamente una storia di conquista e possesso territoriale, con radici profonde anche al di fuori dell’area regionale

(Keystone)
19 maggio 2021
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Al netto dei vari fideismi, per cui la ragione é irrilevante rispetto al credo religioso (quindi la terra promessa agli ebrei, o la supremazia dell’ ‘umma’ islamica per ogni metro quadrato conquistato dai successori di Maometto), la tragica vicenda del conflitto israelo-palestinese é pragmaticamente una storia di conquista e possesso territoriale. Con radici profonde, situate anche al di fuori dell’area regionale. Leggi antisemite, persecuzioni anti-ebraiche,  ghetti, pogrom si produssero in Europa e nell’impero di Russia ben prima della Shoah. E un iniziale ‘passo riparatore’ fu la promessa di una ‘homeland” per gli ebrei, attraverso la Dichiarazione Balfour, con il padre del sionismo Herzl che nemmeno escluse l’idea di una patria in Africa. Poi il ‘male assoluto’, il nazismo e il suo programma di sterminio anti-semita, con non poche complicità e voltafaccia tutt’intorno al Terzo Reich. Un Occidente colpevole e debitore nei confronti degli ebrei accettò di pagarne il prezzo anche morale, e compensò con la nascita dello Stato ebraico.                

Golda Meir parlò impropriamente di ‘una terra senza popolo, per un popolo senza terra’; più saggiamente, Ben Gurion ammise che bisognava capire ‘l’enormità di quanto chiesto agli arabi’. L’aggressione militare a Israele del 1948, fu seguita da oltre 70 anni di guerre, odio, incomunicabilità, ribellioni anche armate nei territori palestinesi occupati nel ’67 (quando sembrò realizzarsi il destino di un ’Israele biblico’), colonizzazione, annessione, violazioni del diritto internazionale, divieti di spostamento, confini alterati, muri, il peso dei religiosi accresciuto nei due campi, la proclamazione di Israele come Stato esclusivo degli ebrei, nazionalismo e fanatismo che si sommano in maniera esplosiva. E, oggi, un supplemento d’odio. Infatti, ecco la novità più significativa e allarmante, senza significativi precedenti: gli scontri fra arabi e israeliani non solo nella Gerusalemme eternamente contesa e in Cisgiordania fra coloni e palestinesi, ma anche all’interno dello Stato ebraico, nelle città a popolazione mista: Lod, Akko, Haifa, Jaffa, e in Galilea e nel Negev. Ferite profondissime, sorprendenti per molti israeliani, lasciate imputridire nei calcoli di una politica purtroppo lucida, che con Netanyahu e i suoi alleati nazional-ortodossi ha puntato all’indebolimento della parte laica dei palestinesi, negando tenacemente la prospettiva dei ‘due Stati’: che se realizzata avrebbero messo fuori gioco o molto indebolito Hamas.                     

Tutto corroborato da una comunità internazionale complice perché silente, passiva, rassegnata, spaventata dagli sconvolgimenti in tutta la regione e dal terrorismo entrato in casa, fino al “marchio trumpiano” di una presidenza statunitense sfacciatamente docile verso Israele. “Unica democrazia della regione”, si ripete; sì, ma democrazia solo per la parte dominante, come il Sud Africa prima di Mandela. In tal modo, sempre e comunque, si torna drammaticamente dalle parti della casella di partenza. Con nulla in mano. Se non la terribile concretezza del generale fallimento.

                                                                          

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