laR+ L'analisi

Si scrive Bannon, si legge Trump

Il pataccaro che ha trovato credito alla Casa Bianca e adorazione in Europa

22 agosto 2020
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E questi sono i tipi per i quali battono i cuori dei cosiddetti sovranisti del nostro piccolo mondo. Stephen Bannon è stato arrestato come un volgare pataccaro: raccoglieva soldi per costruire il muro lungo la frontiera degli Stati Uniti con il Messico e se li intascava. Non tutti, d'accordo, ma parliamo di milioni di dollari.

Non stiamo a scandalizzarci. Semmai annotiamo che, più dell’ideologia, il tratto unificante di questi presunti guru o capipopolo antisistema è ovunque la propensione ad assicurarsi una vecchiaia agiata mettendo da parte soldi non loro. 

E passi. Senonché questo Bannon è stato un artefice della vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi del 2016, e poi capo stratega alla Casa Bianca, prima di essere messo da parte, al pari di altri zelanti servitori che si erano illusi di esercitare una certa influenza su quella sorta di presidente.

Lo stesso Bannon che ha poi goduto di un periodo di gloria nelle marche europee dell’impero, venerato e rincorso dagli aspiranti ducetti della composita galassia d’estrema destra, sgomitanti per una fotografia in sua compagnia, o una cena, o una presenza a un “convegno di studi”. E riuscendo, Bannon, a spillare soldi grazie a fondazioni gaglioffe aventi per missione, nientemeno, la rifondazione d’Europa sui valori della tradizione. 

E sì, c’è stato un periodo che Bannon di qui, Bannon di là. Così che se solo avesse voluto gli sarebbe riuscito di vendere la Fontana di Trevi ai suoi adepti (ciò che stava per riuscire a Totò, ma lui a un americano). Uno sfondamento in provincia, va detto, direttamente proporzionale all’appannamento di immagine negli Usa.

Dunque, e per tornare alla questione, la sorte di Bannon, se verrà confermato colpevole, non è poi così interessante: il suo quarto d’ora di celebrità nella Storia sembra esserselo ormai giocato. Ma due considerazioni si devono tentare.

Una riguarda la drammatica (non soltanto per loro) pochezza intellettuale dei leader dell’estrema destra europea, pur così consistente, che scambiano per “visione” le fole di un ciarlatano e del giornalismo spazzatura che lo accompagna.

L’altra, che potrebbe rivelarsi più interessante, porta al contesto in cui le prodezze di Bannon si volgono in guai giudiziari: il momento di massima debolezza della presidenza Trump, già fiaccata dall’inetta gestione della crisi del coronavirus. L'arresto del suo suggeritore (dal quale goffamente il presidente ha cercato di prendere le distanze) è giunto infatti quasi contemporaneamente a una sentenza di un giudice distrettuale di New York che, a dispetto dei tentativi di metterlo a tacere da parte del fedelissimo ministro della giustizia Barr, ha respinto l’opposizione dei legali alla diffusione delle dichiarazioni dei redditi di Trump; e pochi giorni dopo la pubblicazione di un rapporto di una commissione del Senato (approvato da democratici e repubblicani) che conferma il ruolo esercitato dalla Russia a favore della sua elezione nel 2016. Quasi che una pur casuale serie di circostanze concorra a fare terra bruciata attorno a un presidente sempre più indifendibile, e che la corsa ad abbandonare la nave sia già cominciata.

Va da sé che mettere via Trump non ancora freddo (in senso figurato, per carità) sarebbe un clamoroso fiasco di analisi. La sua posizione non è risultata scalfita dalle “rivelazioni” di John Bolton né da quelle precedenti di altri consimili ceffi passati per il suo libro paga. Lo stesso potrebbe accadere con il caso Bannon, dato in pasto all'opinione pubblica per mettere in salvo il presidente. Ma non è detto: da sempre la presunzione di infallibilità si è rivelata il punto debole degli autocrati. Considerato quanto è grande quella di Trump, la sua debolezza è enorme.

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