laR+ IL COMMENTO

Quel paracadute sociale che non si apre

Ancora troppi nel bisogno, se sfrattati o alle prese con una marea di fatture scoperte, non ricorrono agli aiuti, cui avrebbero diritto

In sintesi:
  • Piuttosto che andare al Comune o al Cantone si preferisce bussare alla porta di Caritas, Croce Rossa, Tavolino Magico, Soccorso d’inverno, Casa Marta, il Centro sociale diurno Bethlehem… rimanere insomma invisibili
  • Si stima che il 40-50% dei potenziali beneficiari non chiede le prestazioni, rendendole di fatto non accessibili a tutti
(Ti-Press)
3 febbraio 2025
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Basta un imprevisto come il dentista o l’auto in garage per far traballare i bilanci di diverse famiglie in Ticino, tartassate da rincari e spesso senza aumenti salariali adeguati. Qualcuno arriva a dover scegliere se pagare la cassa malati o lasciare indietro l’affitto. Talvolta le cose si trascinano nell’attesa che qualcosa accada. Si chiede un prestito a familiari e amici. Si aspetta. Intanto una piccola insolvenza rischia di diventare una voragine, che toglie il sonno. Questa è la precarietà che ci racconta chi è al fronte ad accogliere senza troppa burocrazia, senza tempi di attesa, con flessibilità ed empatia, chi fa più fatica con borse di cibo, un pasto caldo, buoni acquisto, un tetto sopra la testa, un aiuto finanziario in emergenza. Meglio tamponare finché è possibile, prima che situazioni sanabili diventino catastrofiche.

Questo è soprattutto il compito dei servizi sociali comunali e cantonali che hanno a disposizione un’ampia paletta di prestazioni per non far scivolare nella povertà la parte più fragile della popolazione. Il Ticino ha un buon sistema sociale, eppure ancora troppi nel bisogno, se sfrattati o alle prese con una marea di fatture scoperte, non ricorrono agli aiuti, cui avrebbero diritto. È come avere un paracadute sociale che non si apre. Piuttosto che andare al Comune o al Cantone preferiscono bussare alla porta di Caritas, Croce Rossa, Tavolino Magico, Soccorso d’inverno, Casa Marta, il Centro sociale diurno Bethlehem (e la lista sarebbe lunga). Rimanere insomma invisibili. Qualcosa non funziona. Il tema già dibattuto in Gran Consiglio (dopo tre atti parlamentari) continua a sussistere, ma ora sappiamo almeno i motivi che allontanano dalle istituzioni. Un muro burocratico che scoraggia anche i più tenaci, troppi documenti da produrre, un iter complicato, mancanza di informazione sui propri diritti, sfiducia nelle istituzioni, timore di un controllo sociale, paura di venire penalizzati e vedersi togliere il permesso di soggiorno sono alcune giustificazioni riportate da chi si tiene lontano dai radar dei servizi sociali. Lo stigma di chiedere un sostegno è poco citato. Siamo oltre la vergogna. È quanto emerge da 400 consulti fatti lo scorso anno dal nuovo Servizio di orientamento al Centro Bethlehem a Lugano, un progetto pilota finanziato da Cantone e Città. Un primo passo. C’è comunque da riflettere sulla distanza tra chi per legge è chiamato ad aiutare e chi ha diritto di ricevere, senza sentirsi colpevolizzato perché chiede un sussidio, una borsa di studio, un aiuto per l’affitto, una complementare…

Si stima che il 40-50% dei potenziali beneficiari non chiede le prestazioni, rendendole di fatto non accessibili a tutti. Un problema diffuso in Svizzera. Il Canton Jura, ad esempio, ha scelto di adattarsi ai bisogni dei cittadini. Ha invitato tramite un sito e cartelloni chi avesse problemi finanziari a farsi avanti. L’ha fatto in modo semplice. Si poteva telefonare, mandare un Sms, una email. Anche di sera e di sabato. Non era necessario recarsi ai servizi sociali, si poteva fare tutto anonimamente al telefono e decidere, se necessario, dove incontrarsi. Anche a domicilio. In 6 settimane hanno telefonato 143 cittadini. Ci sembra una buona via per superare i muri burocratici ed essere al servizio dei cittadini nell’interesse della collettività.