L'incidente stradale occorso a Norman Gobbi: alla Procura il compito di fare piena luce. In gioco anche la credibilità dello Stato verso i cittadini
Al di là dell’obbligatorietà dell’azione penale sancita dalla legge, per cui la Procura è tenuta ad avviare un’inchiesta se viene a conoscenza “di reati o di indizi di reato”, l’apertura di un procedimento da parte del Ministero pubblico, per le ipotesi di abuso di autorità e favoreggiamento, in relazione all’incidente stradale occorso al consigliere di Stato e coordinatore della Lega Norman Gobbi, è un atto dovuto pure e soprattutto a tutela delle istituzioni. Le quali per funzionare, in una democrazia, devono essere (anche) credibili e godere pertanto della fiducia dei cittadini. Alla Procura il compito quindi di fare totale chiarezza sulle fasi successive al sinistro avvenuto una notte dello scorso novembre sulla A2 in Leventina, in particolare su come è stato gestito il caso dalla Polizia cantonale, su come lo ha gestito la cosiddetta linea di comando e sul comportamento del ministro.
L’opinione pubblica si attende un’indagine penale a trecentosessanta gradi: si aspetta che il procuratore generale Andrea Pagani, titolare dell’inchiesta, vada sino in fondo. Affinché vengano rimosse zone d’ombra e fugati dubbi. Affinché siano accertate eventuali irregolarità e responsabilità. Bisogna fare piena luce perché è in gioco, lo ripetiamo, la credibilità delle istituzioni e la fiducia in esse della popolazione. Che pretende giustamente parità di trattamento. “Tutti sono uguali davanti alla legge”, recita il primo capoverso dell’articolo 8 della Costituzione federale, quello sull’uguaglianza giuridica. Tutti sono uguali davanti alla legge. Ministri e poliziotti compresi. Inclusi i “4X4 della politica per la sicurezza”, come Gobbi si è definito in passato.
L’assoluta chiarezza su questa vicenda dal profilo penale (per ora un imputato: un agente della Polcantonale) si impone anche per un motivo di natura politica. In Gran Consiglio sono pendenti alcuni importanti dossier che concernono le forze dell’ordine ticinesi e il loro futuro. C’è un’iniziativa parlamentare che chiede l’introduzione di un solo corpo di polizia, tema controverso, che si trascina da anni, ovvero da più legislature. C’è il rapporto stilato dal gruppo di lavoro ‘Polizia ticinese’, costituito nel 2016 dal governo, che suggerisce tra l’altro “una nuova ripartizione” dei compiti tra la Cantonale e le polizie comunali: il documento dovrebbe permettere ai partiti di prendere finalmente, così si spera, una decisione sulla proposta di dar vita a una polizia unica. E poi c’è la riforma della Legge (cantonale) sulla polizia. Un progetto di revisione, elaborato dal Dipartimento istituzioni diretto da Gobbi, che andrà esaminato dal Gran Consiglio in maniera approfondita, per verificare che le norme prospettate e gli strumenti che si intende assegnare alle forze dell’ordine rispettino i diritti fondamentali. Sono dossier che non potranno essere evasi con la necessaria tranquillità politica, con la necessaria serenità istituzionale, se prima non verranno acclarati tutti gli aspetti legati all’incidente che ha coinvolto il consigliere di Stato.
Restando in politica, è auspicabile che il Consiglio di Stato consideri seriamente la possibilità di attribuire la Polizia cantonale, oggi sotto il cappello del Dipartimento istituzioni, a un altro Dipartimento in attesa della conclusione del procedimento penale. E ciò per ragioni di opportunità. Del resto è già successo, nel 2006 con il ‘Fiscogate’ (all’epoca in ballo era il Dipartimento finanze ed economia). Non è invece per nulla auspicabile affidare il procedimento a “un procuratore straordinario esterno, magari proveniente da un altro cantone”, come chiede al governo l’Mps. Un passo simile delegittimerebbe l’azione in generale del Ministero pubblico ticinese. Il che sarebbe devastante, specie in un momento politico-istituzionale piuttosto delicato come questo.