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Come bollire uomini e rane

Il principio di Chomsky è applicabile alle mille promozioni che ogni giorno ci invitano a entrare in acqua, per poi scoprire troppo tardi quanto è calda

In sintesi:
  • Il futuro è Graceland, negli Usa, dove ti vendono vestiti senza camerini né specchi
  • ‘Spotify mi fai sentire Caetano Veloso gratis?’ ‘No, dai. Dopo. Molto dopo’
Una rana in pentola
(Depositphotos)
30 settembre 2023
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C’è una storiella raccontata da Noam Chomsky ormai talmente famosa da avere un suo titolo, come un film o una favola di Esopo: “Il principio della rana bollita”.

In pratica se infili una rana in una pentola d’acqua bollente, quella fa un salto e scappa. Ma se la immergi a temperatura ambiente e poi la cuoci a fuoco lento, si adatterà e continuerà a sguazzare nell’acqua tiepida finché non sarà così calda da voler saltar via. In quel momento, però, la rana non avrà più le forze per scappare.

Questo esempio di psicologia comportamentale spicciola, da arte della sopravvivenza per Giovani Marmotte, lo hanno ben presente tutti coloro che provano a bollirci quotidianamente con le loro offerte. Compagnie telefoniche, assicurazioni, servizi in streaming; funziona così persino ai concerti, con il vecchio biglietto “prato” diviso in diciotto sottozone (con 18 sovrapprezzi) e i famigerati “token”, che devi usare al posto dei soldi e con un valore di scambio solo all’interno del concerto; a meno di un tot – di solito alto – non te li cambiano, così tu torni a casa con la sete oppure con in tasca gettoni che non servono a niente, mentre loro con la tua acqua e la tua birra hanno tirato su i soldi di uno champagne. I token, ovviamente, non sono rimborsabili.


Keystone
Noam Chomsky

Insomma, l’importante è farci entrare in pentola. Esempio: nella Svizzera tedesca alcune tv a pagamento prevedono già un extra se vuoi eliminare la pubblicità dalle tue registrazioni. Si dice anche che presto o tardi la formula arriverà pure qui. La cifra che pagavi prima non basta più e se – spazientito – provi ad andartene, vieni subito avvisato che l’abbonamento attuale, “così conveniente”, non lo rivedrai mai più. Se togli lo sport d’estate, quando non ci sono partite, quando lo rimetti paghi il 20 per cento in più. Se non lo togli paghi quando non ti serve. È un gatto che si morde la coda, finito pure lui nella pentola delle rane. Ovviamente a inizio cottura erano previsti sconti e regali, che sono il modo di farti entrare in acqua; poi lo sconto svanisce, il regalo in parte devi pagartelo e via così, verso la bollitura.

Spotify è una specie di chef stellato quando si tratta di cucinare consumatori come rane. Una volta la versione gratuita del più famoso catalogo musicale del mondo era un buon compromesso tra risparmio, funzioni negate, qualità del servizio, piccoli nervosismi e pubblicità. Il salto nell’acqua della versione a pagamento, anche grazie alle offerte a tempo, era semplice: possibilità di salvare le canzoni offline, niente spot a interrompere i brani, un catalogo che ti legge quasi nel pensiero proponendoti cantanti affini ai tuoi gusti.

Tornato alla versione gratuita ho scoperto che l’acqua aveva già un’altra temperatura. Prima se volevi ascoltare – faccio un esempio (reale) – un brano di Caetano Veloso, scrivevi il titolo e potevi tenerlo in loop per giorni, o ascoltavi l’album, tutta la discografia di Veloso intervallata giusto da un po’ di pubblicità (se non paghi tu, qualcuno dovrà pur pagare). Poi è successo che se mettevi il nome del brano, Spotify faceva il giro un po’ più largo e ti faceva sentire altre canzoni di Veloso (spesso le più brutte) e poi, a un certo punto, prima o poi, quello che volevi. Ora ti fa sentire direttamente quel che vuole lui, come se si fosse dimenticato della tua richiesta, che ormai è una supplica. Ovviamente alla trentottesima canzone non voluta ti dice che se paghi, il brano che vuoi te lo fa sentire anche subito, anzi, quasi quasi ti manda Veloso a casa.


Keystone
Caetano Veloso, usato suo malgrado come esempio

Già lo vedo tra un po’ Spotify, quando gli chiederò di sentire Veloso, che mi risponderà “Veloso chi?” mentre in cuffia si alternano un Gigi D’Alessio vietnamita, la discodance quechua, un suonatore di bidoni kazako e il claim: “Se ti abboni magari me lo ricordo chi è Veloso”, come i portieri degli hotel nei vecchi film di corna e di spionaggio. Per la serie, se paghi mi torna la memoria. Nel frattempo, e questo vale un po’ per tutti, all’abbonamento base che prima ti permetteva di fare tutto si toglie un pezzo alla volta così da far nascere l’abbonamento gold, il platinum, il premium, il superpremium… e così dove prima in tv c’era l’UltraHd ora – per gli stessi soldi – c’è il 64bit, così al posto di vedere Lebron James o Messi che sembra che ti entrino in casa, pare di vedere le partite dentro a un Commodore64.

Il futuro l’ho già visto in America, perché il futuro di queste cose è da sempre il loro presente. La punta dell’iceberg che ci sta venendo addosso è Graceland, il grande parco giochi nato attorno alla casa di Elvis Presley poco fuori Memphis. Il biglietto base costa 60 dollari e con quello (giuro) non puoi nemmeno vedere la casa. Con 80 dollari entri, ma vedi solo il piano di sotto. E il parcheggio è extra: 10 dollari, lo scopri solo lì. Se vai nel giorno in cui c’è una celebrità locale paghi 500, 1’000, 2’000 dollari. Come se non bastasse dai negozi di souvenir sono spariti tutti i camerini e gli specchi. Non puoi nemmeno provarti una maglia sopra i tuoi stessi vestiti. Compri alla cieca, poi te ne vai. Così – se proprio ci tieni – esci e hai una camicia stretta, una giacca larga, un paio di scarpe che ti fanno male. Tu con il portafoglio più leggero e loro sempre più ricchi. Per consolarti metti un po’ di musica, chiedi Elvis e arriva Ulvis, il Presley finlandese. Ma se paghi c’è quello vero. Dalla padella alla brace, si diceva una volta. Ora si salta da una pentola a un’altra pentola.


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Token non rimborsabili a un concerto di Jovanotti

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