IL RICORDO

L’ultimo ruggito del leone stanco

Il verbo che mi torna in mente tutto il tempo è ‘significare’.  Mi piace pensare che penso questo perché mio padre me lo ha insegnato col suo esempio.

In sintesi:
  • Ho visto mio padre guardare la sua vita trascorrere davanti ai suoi occhi. 
  • Nei suoi ultimi momenti in ospedale ha riavvolto il nastro, a ritroso, partendo dalla fine per arrivare all’inizio.
(Depositphotos)
31 luglio 2023
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Ho visto mio padre guardare la sua vita trascorrere davanti ai suoi occhi. Nei suoi ultimi momenti in ospedale ha riavvolto il nastro, a ritroso, partendo dalla fine per arrivare all’inizio. Non ho, ovviamente, nessuna certezza che sia andata davvero così. Tuttavia mi piace pensare di sì. Nei due giorni prima di sprofondare nel sonno indotto dalla morfina, mio papà aveva gli occhi apertissimi, lo sguardo fisso in un punto che chiamerò il nulla. Un nulla che, appunto, mi piace pensarlo, era in realtà la proiezione del film della sua vita che scorreva solo per lui. Una retrospettiva necessaria prima di partire. C’è chi dice che tutti passiamo da lì alla fine della nostra esistenza. Chi lo sa. Sarà forse per questo, mi piace crederlo, che l’ultima volta che lui è riuscito a proferire parola, quando l’infermiere gli ha chiesto quanti anni aveva, ha risposto: diciotto. A me invece ha chiesto uno specchio e le scarpe. Era davvero vicino all’inizio. Forse si stava preparando per andare a giocare a pallone al campetto di Caballito, vicino allo stadio del Ferro Carril Oeste, la squadra dei ferrovieri, dove si tenevano i tornei ‘Evita’ (sorta di omaggio alla memoria della defunta Prima dama).

Il Funes di Borges ci avrebbe messo 84 anni per ricordare 84 anni di vita. Mio papà ci ha messo un paio di giorni. Intelligente com’era, avrà saputo fare skip in certi passaggi e concentrarsi sui momenti essenziali. Sapeva che non aveva tempo da perdere. Si sarà visto nel grembo di sua madre mentre lei scendeva dalla nave che l’aveva portata in salvo fino a quaggiù? Si sarà soffermato sulle nostre nascite? Avrà riguardato qualche partita del River? I Mondiali? Il ritorno della democrazia? Il golpe del ’76? Il suo matrimonio, il divorzio, i dollari, l’inflazione, i suoi fratelli, le mille battaglie, le cadute e le risalite, gli amici, gli odori, i gusti, la musica?

Abbiamo accompagnato questo suo viaggio con una colonna sonora scelta apposta per lui: Carla Bruni, la ‘tana’ Rinaldi, Piazzolla. Ogni nota del bandoneón di Astor porta un’immagine, un ricordo. Entriamo nel mio di viaggio. Ringrazio il destino che mi ha permesso di essere qui, accanto a mio papà, piangendo mentre sento ‘Adios nonino’. La mia più grande paura in questo anno e mezzo di agonia era ritrovarmi lontano, tra laghi e montagne, inseguendo il suono di quel bandoneón. Perfino questo mio padre è riuscito a regalarmi: il sollievo di essere qui al suo fianco, fino al suo ultimo ruggito. Perché ciò che il mio udito ha sentito, oltre a Piazzolla, non sono i faticosi e rumorosi ultimi respiri di un anziano nel suo letto di morte: è il ruggito del leone stanco, che inizia a godersi il suo meritato riposo.

Il verbo che mi torna in mente tutto il tempo è “significare”. Mi piace pensare che penso questo perché mio padre me lo ha insegnato col suo esempio. Ciò che veramente conta, in fondo, è il significato che diamo a ogni cosa: ai ricordi, ai sapori, alle parole, alle lacrime. E soprattutto, alla fine della nostra esistenza, ciò che conta più di qualsiasi altra cosa è quello che riusciamo a significare, e che significheremo per sempre, per le persone che ci circondano.

Non ho un altro pensiero, altro desiderio, altro auspicio più grande – che vuole essere anche una specie di riconoscimento – che non sia, un giorno, riuscire a significare per i miei figli ciò che mio padre significa per me.

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