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Zelensky tra Putin e il ‘Sud globale’

Il tour internazionale del presidente ucraino getta luce su aspirazioni e contraddizioni di potenze e Paesi emergenti

In sintesi:
  • Prima del G7 in Giappone, Zelensky è passato anche dal vertice della Lega araba
  • Ma certi Paesi restano sinonimo di autoritarismo e malgoverno
(Keystone)
24 maggio 2023
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La partecipazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al vertice del G7 in Giappone s’impone per la compresenza al vertice di Paesi del cosiddetto ‘Sud globale’, in particolare India e Brasile. Prima di arrivare in Giappone, inoltre, Zelensky è intervenuto al vertice della Lega araba, in Arabia Saudita, mentre la Lega deliberava la riammissione della Siria archiviando con un colpo di spugna la violenta repressione delle ‘Primavere arabe’ voluta dal regime di Al-Assad.

Si ricorderà che nel 2012 gli Stati Uniti di Barack Obama minacciarono di intervenire contro l’autocrate siriano se questo avesse impiegato armi chimiche, nel contesto della guerra civile seguita alle rivolte. Le armi furono impiegate, ma gli Usa non intervennero. Fu un errore clamoroso, già entrato nei libri di storia recente. Aprì le porte all’intervento russo non contro, ma a favore di Al-Assad. Così, in Arabia Saudita, Zelensky ha parlato di fronte a uno dei più stretti sodali di Putin, forse il più stretto che sia capitato al suo cospetto dopo la ripresa della guerra. Molti Paesi arabi nicchiano sulla questione ucraina, stretti fra la dipendenza dalle forniture di grano, rese instabili dal conflitto, e i loro mai dimenticati legami con l’Unione Sovietica.

Il tour de force arabo-giapponese di Zelensky fa luce sul nascente ‘Sud globale’ prefigurato dal politologo Aleksandr Dugin, le cui teorie ispirano gran parte della politica estera russa dell’era Putin. Secondo Dugin, che si rifà al sociologo neo-marxista Immanuel Wallerstein, la Russia deve farsi motore di un blocco di Stati che si opponga con efficacia all’Occidente, anche grazie al potere di dissuasione nucleare russo e cinese. Il ‘Sud globale’ è questo.

La guerra in Ucraina è parte dello stesso scenario: la restaurazione territoriale della Russia imperiale è, nella visione di Dugin e Putin, il primo passo verso questo nuovo ordine mondiale, che ruota intorno all’idea di Eurasia. Orbene, la guerra russa va male: il vanto del gruppo Wagner per aver occupato qualche quartiere in più di una Bakhmut in macerie non muta lo status quo. In difetto di Mosca, il ruolo-guida del ‘Sud globale’ è stato assunto dalla Cina e suoi comprimari, dall’Arabia Saudita di ‘Mbs’ – Mohammed bin Salman – al Brasile di Lula.

Il ‘Sud globale’ si vuole difensore degli esclusi dallo sviluppo occidentale. È vero che l’Occidente non sempre porge orecchio a quella parte di mondo. I dirigenti del ‘Sud globale’ hanno molto da chiarire, però. Intanto, la questione valoriale, simboleggiata meglio che mai dalla riammissione di Al-Assad alla Lega araba. Nel ‘Sud globale’ ogni obiezione sui diritti umani viene ignorata o derubricata a imposizione occidentale, con il pretesto della non ingerenza negli affari interni. Poi c’è la debolezza politica, di cui sono esempio le affermazioni del presidente brasiliano. Secondo Lula, nella guerra ucraina “non importa chi ha ragione e chi torto”. Basterebbe che l’Ucraina cedesse la Crimea alla Russia. Sono dichiarazioni prive di fondamento storico e giuridico, che non ci si attende da un capo di Stato.

La guerra in Ucraina e l’onnipresenza di Zelensky sono cartine di tornasole che rivelano quanto i dirigenti del ‘Sud globale’ restino deboli e prigionieri di una retorica ormai stanca. Se non faranno un salto di qualità, il loro mondo resterà sinonimo di autoritarismo e malgoverno, oltre che una concreta minaccia per noi.

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