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Campioni olimpici nel girarsi dall’altra parte

Manca più di un anno per Parigi 2024 e si spera che la guerra per allora sia finita, come si spera finisca al più presto un certo modo di fare del Cio

In sintesi:
  • L’ultima querelle riguarda le prossime Olimpiadi, dove di mezzo c’è la Russia
  • Lo sport d’élite non può sentirsi apolide né avulso da un contesto che di fatto lo genera 
  • Il Cio nella gara al ribasso viene insidiata solo dalla Fifa
Da un grande potere derivano grandi responsabilità
(Keystone)
19 aprile 2023
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Bisognerebbe tenere fuori dalla politica e dallo sport quelli che dicono di tenere fuori la politica dallo sport. Che sì, suona un po’ come gli “spingitori di spingitori di cavalieri” del Guzzanti di Rieducational Channel. Ma qua c’è poco da ridere. Anzi, a dirla tutta, bisognerebbe tenerli fuori da qualsiasi altro argomento, se il livello è quello.

L’ultima querelle riguarda le Olimpiadi di Parigi del 2024, dove di mezzo, tanto per cambiare c’è la Russia: da una parte una quarantina di Stati, capeggiati da Ucraina, Polonia e Lettonia, che stanno chiedendo di non far partecipare la Russia nella prossima edizione, dall’altra il Comitato olimpico, che per ora – complice il fatto che manca più di un anno ai Giochi – si gira dall’altra parte.

Il Cio, d’altronde, è campione olimpico nella disciplina – frequentatissima – del girarsi dall’altra parte. L’ha fatto assegnando i Giochi del 1936 a Hitler e quelli successivi (poi non disputati) a un Giappone autoritario, antidemocratico e perfino già in guerra. Ha continuato con il doppio pasticcio dei boicottaggi incrociati di Mosca 1980 e Los Angeles 1984 e poi con lo scippo delle Olimpiadi del centenario ad Atene da parte di Atlanta (1996), in uno di quegli incroci tra pop e mito in cui il dio denaro della Coca-Cola ha messo al tappeto gli dei dell’Olimpo, con buona pace del mito di Maratona, del Discobolo, dei puri e dei romantici. Infine si è andati dietro ai soldi di Pechino (in estate, 2008 e in inverno, 2022) e Mosca (d’inverno, 2014, precisamente a Sochi, al mare, anche se sembrava estate).

Il Cio, in questa gara al ribasso viene insidiato solo dalla Fifa – altro peso massimo della politica mondiale in maglietta (portafoglio) e pantaloncini – che dopo aver chiuso gli occhi dinanzi a Mussolini (1934) e a Videla (1978), in Qatar ha deciso di dare il peggio, ignorando i diritti dei lavoratori, delle minoranze e anche quel minimo di decenza che servirebbe quando si finisce in Mondovisione.

Dalla federazione internazionale di tennis che faceva giocare il Cile di Pinochet al rugby e alla Formula 1 che flirtavano senza vergogna con il Sudafrica dell’apartheid (lo fece anche il tennis fino al 1973), la lista di chi mette il denaro e gli interessi personali davanti a tutto è interminabile.

Ma proprio questi esempi ci fanno capire come lo sport d’élite, proprio in quanto incarnazione dei Paesi che rappresenta, non può sentirsi apolide né avulso da un contesto che di fatto lo genera e in cui – volente o nolente – deve specchiarsi.

E se è vero che da un grande potere derivano grandi responsabilità, il Cio, che conta più Paesi affiliati dell’Onu (206 contro 193) e non deve sottostare al ricatto dei veti incrociati, può e deve fare di più: non è facile escludere dalle Olimpiadi centinaia di atleti solo per la loro nazionalità, ma anche far finta di nulla come se fosse una bocciofila decadente a caccia di iscritti pur di tenere aperto il bar è pure peggio. Per non dire dell’ultima lettera del presidente Thomas Bach in cui contesta la pressione di Kiev su altri Paesi per aderire a un eventuale boicottaggio.

C’è oltre un anno di tempo e si spera che la guerra per allora sia finita, come si spera finisca al più presto un certo modo di fare – affaristico, ombelicale e cerchiobottista – del Comitato olimpico.

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