laR+ IL COMMENTO

Giuliano Bignasca, il primo (improvvisato) sovranista

Il ‘Nano’, deceduto dieci anni fa, era entrato in politica per una sorta di ripicca contro ‘le grandi famiglie’. Per sedersi anche lui al loro tavolo

In sintesi:
  • Per oltre due decenni è stato una figura centrale e temuta della vita politica ticinese
  • Giuliano Bignasca costruì in poco tempo una perfetta macchina da voti 
(Ti-Press)

Dieci anni fa un attacco cardiaco si portava via, a 68 anni, Giuliano Bignasca, che per oltre due decenni era stato una figura centrale e temuta della vita politica ticinese. E dire che in politica, quando fondò la Lega dei Ticinesi nel 1991, Bignasca, conosciuto da sempre con il soprannome di ‘Nano’, ci era entrato più che altro per una sorta di ripicca, con l’intenzione di interrompere l’insano circuito che assegnava gli appalti pubblici ai soliti noti. Quelli che lui amava definire "le grandi famiglie". Voleva interrompere quello che riteneva un circolo vizioso, probabilmente per sedersi anche lui al tavolo. In realtà, insieme a un altro personaggio a suo modo geniale, il giornalista e cabarettista Flavio Maspoli, Bignasca fece saltare il banco della fin lì ingessata politica cantonale, approfittando, non sappiamo quanto consapevolmente, delle conseguenze della fine della Guerra Fredda che affrancarono molte persone dagli obblighi di fedeltà verso i partiti tradizionali, gettandoli tra le braccia dei primi improvvisati sovranisti.

In Svizzera si mosse di pari passo con il ‘Neinsager’ Christoph Blocher. Il Nano, cui non mancava una buona dose di spregiudicatezza, trovandosi davanti una prateria di elettori in libertà, si inventò tutta una serie di temi: citiamo tra gli altri la 13esima Avs, che sapeva li avrebbe ingolositi. Con la collaborazione di Maspoli e le campagne del Mattino della Domenica, che svolgeva il ruolo di gogna settimanale per chi si metteva di traverso alle iniziative leghiste, Giuliano Bignasca costruì una perfetta macchina da voti che, in poco tempo, consentì alla Lega dei Ticinesi di occupare seggi in Consiglio nazionale, in Gran Consiglio e al Municipio di Lugano.

Il suo vero alter ego non fu, tuttavia, Flavio Maspoli, bensì l’elegante e molto più composto Marco Borradori. Se il Nano, come ebbe a dire Piero Chiambretti, sembrava uscito da un cartone animato, Borradori aveva il bell’aspetto dell’attore giovane, destinato a imporsi in fretta sulla scena. Insieme ricordavano la fortunata coppia cinematografica formata da Jerry Lewis e Dean Martin, con Bignasca nel ruolo dello stralunato Picchiatello e Borradori in quello del bravo ragazzo che piace alle mamme. La loro, per oltre due decenni, fu una coppia vincente, nella quale lo stratega è comunque sempre stato il Nano. Cui va riconosciuto, pur tra non pochi eccessi, un grande fiuto politico, grazie alla capacità di non perdere mai di vista esigenze e pruriti del proprio elettorato. Scagliandosi, di volta in volta, contro il totem del debito pubblico, contro l’Onu, la Berna dei Landfogti e gli stranieri, combattendo contro la razionalizzazione ospedaliera a difesa dell’Ospedale Italiano di Lugano e contro la tassa sul sacco. Quella che i suoi eredi definirono il "fetido balzello".

Figlio della sua città fino al midollo, Giuliano Bignasca ne fece, per dirla con una sarcastica definizione di Claudio Zali, una sorta di "villaggio gallico in riva al Ceresio". Zali che certifica, con la sua presenza a Palazzo delle Orsoline insieme a Norman Gobbi, la straordinaria cavalcata politica del Nano: da zero a due consiglieri di Stato in 20 anni. E dire che, quando fondò la Lega, il resto della politica cantonale reagì con un’alzata di spalle.

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