laR+ IL COMMENTO

‘E allora le foibe?’

Cosa succede quando una squadraccia di fascisti mena dei ragazzini davanti a un liceo fiorentino

In sintesi:
  • Picchiatori italiani e dove trovarli
  • Equivalenze morali 
  • Derive psicotiche tra Vichi di Casapound e la sinistra putiniana
(La7)
25 febbraio 2023
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Cosa succede, quando una squadraccia di fascisti di Azione Studentesca mena dei ragazzini davanti a un liceo fiorentino? Succede ad esempio che la preside di un altro liceo della città, Annalisa Savino, prenda carta e penna per ricordare ai suoi allievi che "il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti". E aggiunge: "Siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. (…) Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato col suo nome, combattuto con le idee e la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé".

In un Paese che si ricordasse da dove viene – anche senza dover scomodare ogni volta la Resistenza e la Costituzione – chi detiene "supremazia, diritto e polizia" e fino a quel momento ha taciuto si limiterebbe a congratularsi con Savino, magari cercando parole altrettanto forti per rilanciarne il messaggio. Ma è chiedere troppo, se è vero che il ministro dell’Istruzione e del Merito (sic) Giuseppe Valditara – quello secondo cui l’umiliazione "è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità" – è corso in tivù a dichiarare che "è una lettera del tutto impropria" e "non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo" (e a chi dovrebbe competere, di grazia?). In compenso Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia – partito di Giorgia Meloni, a sua volta ex presidente di Azione Studentesca – ha raccomandato "alcune integrazioni: i novanta milioni di morti generati nel mondo dal comunismo, le foibe, le sanguinarie repressioni di Praga e Budapest, l’attualità di una Cina in cui non esistono i diritti civili". Come se questo pestaggio non avesse una matrice politica e dei responsabili ben precisi.

Gli anglosassoni la chiamano "moral equivalence", in italiano equivalenza morale oppure, più prosaicamente, buttar la palla in tribuna. È quello stratagemma – di desolante pigrizia intellettuale – con cui si cerca di convincere il prossimo che due torti fanno una ragione, che la violenza dell’uno rende tutto sommato meno grave quella dell’altro. Ma l’unica equivalenza reale, in questi casi, è l’uso di simili scorciatoie tanto a destra quanto a sinistra: dalla Vichi di Casapound messa in burla da Caterina Guzzanti – "E allora le foibe? Eh? Fai pippa…" – a quelli che Vladimir Putin lo condannano, certo, ma poi la Nato, il Vietnam, il bloqueo, McDonald’s, la pressione alta e le guerre puniche dove li metti?

Il fenomeno ha un suo ingarbugliato corrispettivo psicotico, che spazia dallo ‘spostamento’ alla dissociazione mentale e serve a difenderci – in modo tragicamente disfunzionale – da ciò che non vogliamo vedere. Il risultato alla fine, che si tratti di difendere i fascisti italiani o quelli russi, è più o meno lo stesso: tutti colpevoli, nessun colpevole. Così da proteggere ciascuno i propri stazzonati pregiudizi ideologici dalla realtà, in una sconclusionata partigianeria dagli stessi esiti della peggiore indifferenza. Ma come diceva Antonio Gramsci (e ci ricorda la preside): "Odio gli indifferenti".

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