laR+ IL COMMENTO

Quando il dottore parla solo inglese 

In Svizzera tre nuovi medici su 4 sono diplomati all’estero. Una dipendenza rischiosa e davvero molto imbarazzante

In sintesi:
  • O gli elvetici consumano meno sanità (essendo tra i più spendaccioni al mondo per cure mediche) o si formano più medici. O entrambe le cose.
  • Un’ipotesi potrebbe essere quella di rivedere gli standard, ridurre la costosa pratica e formare più medici. Uno sforzo, anche economico, che dobbiamo alle generazioni future. 
(Depositphotos)
13 febbraio 2023
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‘Excuse me, could you repeat, please’. Sarà meglio imparare l’inglese, se vogliamo capire cosa ci prescrive il cardiologo. Le cifre parlano chiaro: tre nuovi dottori su quattro si sono diplomati all’estero. Ad esempio, il 75% dei nuovi specialisti in chirurgia cardiaca. Una tendenza che non cambierà presto. Infatti, la carenza di professionisti qualificati si va intensificando in Svizzera come in altri Paesi europei. Da noi, mancheranno 5’500 medici entro il 2040. La caccia al dottore è aperta. Ha fatto scalpore la scelta dell’Ospedale cantonale di Aarau che sta ingaggiando personale in Italia.

L’emergenza è lampante, eppure stiamo vivendo un paradosso stucchevole. Da una parte reclutiamo ogni anno migliaia di medici e specialisti all’estero, sottraendoli ai Paesi che hanno investito soldi per formarli (davvero imbarazzante!) e aggravando in loco la penuria. Dall’altra, chi ha vocazione e requisiti deve emigrare dalla Svizzera per studiare medicina. Infatti la maggior parte degli studenti non supera gli esami attitudinali per accedere alle Facoltà di medicina o viene bocciato dopo il primo anno, perché non c’è posto per tutti. Frustrante e costoso. Chi può emigra, come ci raccontano tre ticinesi. Non hanno rinunciato al sogno d’infilarsi un camice: Giovanna S. ha studiato medicina a Istanbul, Michelle Betschart in Bulgaria, Pietro Ferrario a Milano. Tutti sono rientrati in Svizzera: due lavorano già in ospedale, la terza sta finendo il master a Lugano.

Un pendolarismo di sanitari (in uscita e in entrata) che è disarmante, per nulla rispettoso delle persone e poco lungimirante. Di fronte alla drammatica penuria di curanti e alla rischiosa dipendenza dall’estero, perché la Svizzera scoraggia chi vuole diventare medico? La risposta è semplice: perché formare un dottore costa parecchio. Soprattutto da noi, dove il curriculum è molto orientato alla pratica. Costa meno reclutarlo già formato da altri Paesi, creando di fatto un pericoloso effetto domino: se i medici italiani emigrano in Svizzera, gli ospedali della vicina penisola dovranno, a loro volta, cercare specialisti altrove, forse in Polonia, Romania. E i Paesi dell’Est dovranno tamponare le loro emorragie di cervelli cercandoli forse in India. E così via. Ovviamente a rimetterci sarà l’anello più debole della catena. Inoltre, chi arriva non sempre ha alle spalle una formazione di qualità. E chi ce l’ha – sottolinea il professor Ghielmini alle pagine 2 e 3 – può avere gap culturali e risultare carente nella comunicazione coi pazienti.

A fare i furbi però prima o poi ci si scotta. Infatti l’Italia, per arginare l’emorragia di sanitari verso il Ticino, ha aumentato stipendi e incrementato posti di formazione. Lavorare in Svizzera sta diventando meno attrattivo. Quali soluzioni restano? O gli elvetici consumano meno sanità (essendo tra i più spendaccioni al mondo per cure mediche) o si formano più medici. O entrambe le cose.

Nel 2016 Berna ha investito 100 milioni per formare più dottori (1’300 diplomi l’anno entro il 2025) ma è insufficiente. Bisogna fare molto di più e la politica deve prendersi le proprie responsabilità. L’esperienza dell’Usi con la Facoltà di medicina ha dimostrato che è possibile incrementare il numero di posti di formazione. Un’ipotesi potrebbe essere quella di rivedere gli standard, ridurre la costosa pratica e formare più medici. Uno sforzo, anche economico, che dobbiamo alle generazioni future.

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