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La Lega, i padronazzi e la gobba di Igor

Pseudosindacato leghista aiuta alcune imprese ad aggirare la nuova legge sul salario minimo per pagare poco i frontalieri. Però va tutto bene, eh

‘Gobba? Quale gobba?’
10 settembre 2021
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Ricapitolando: c’è un buco nella legge sul salario minimo, una scappatoia che consente di continuare a pagare meno i dipendenti, sempre che a stabilirlo sia un contratto collettivo; alcune aziende corsare vogliono a tutti i costi passarci, da quel buco, sicché si inventano un foglio di carta ad hoc e mettono i dipendenti – perlopiù frontalieri – di fronte al bivio: o firmate per il solito piatto di lenticchie o la porta è lì. La storia sarebbe già sordida così, ma qui arriva la pennellata da maestri, il tocco di classe tipicamente nostrano: a fare da sensale per il nuovo contratto è TiSin, pseudosindacato giallo (pardon, “associazione in difesa del lavoro”) vicino alla Lega dei Ticinesi, con un comitato fondatore che include il capogruppo e la vicecapogruppo in Gran Consiglio. Proprio lo stesso movimento del ‘padroni a casa nostra’, quelli che a sentir loro tirerebbero su un muro a Brogeda.

Ora, invece, viene fuori che approfittare dei ‘tagliàn’ è meglio che cacciarli. Ancora una volta – era già successo con le segretarie frontaliere di Battista Ghiggia, all’epoca candidato agli Stati – il primanostrismo leghista si rivela per quello che è: una congerie di specchietti per le allodole e cianfrusaglie ideologiche lasciate a prender polvere tra un’elezione e la successiva, quando le priorità sono altre. Lo dimostra il silenzio dei diretti interessati, come da consumato copione politico: fingiti morto e l’orso se ne andrà. Chissà cosa ne penseranno ‘i noss gent’, che il ‘Mattino’ aizza ogni domenica contro chiunque abbia il passaporto del colore sbagliato.

Attenzione, però, a non superarli a destra: qui il problema non sono i frontalieri in quanto tali, senza i quali l’economia di questo cantone chiuderebbe domani; lo è semmai un sistema di aziende – non tutte, ma sempre troppe – che li spremono per salari inaccettabili in Ticino alimentando un’economia a basso valore aggiunto, un suk popolato da furbetti che tirano a campare sul lavoro a buon mercato. Un sistema che naturalmente genera frizioni con le componenti più fragili della popolazione residente: è qui che s’innesta il cuneo leghista, teso a sfruttare l’ostilità senza risolverne le ragioni profonde, vuoi mai che gli tocchi inventarsi un altro nemico o addirittura fare lotta sociale di quella vera.

Ora si tratterà di capire cosa fare per proteggere un salario minimo già stenterello: le proposte di intervento e modifica al testo di legge sono parecchie, ma ci vorrà tempo e non sarà facile. Però l’affare TiSin solleva dubbi che trascendono il caso specifico e le stesse ipocrisie leghiste. Ci costringe a chiederci se vogliamo sul serio superare un’economia fatta di scorciatoie, sgravi e sussidi a casaccio, controlli distratti e rendite di posizione; un’economia che magari aiuta a far quadrare i bilanci pubblici e a trovare i soldi per un giardinetto o un’asfaltatura, ma si dimostra sempre più iniqua e insostenibile. Le soluzioni dipendono molto da fattori globali, certo. Ma intanto non aiuta la diffusa tendenza a canticchiare che ‘tout va très bien, Madame la Marquise’. Quel fenomeno di rimozione collettiva per cui persino il direttore dell’Istituto di ricerche economiche ha appena ribadito che no, tranquilli, siamo gagliardi e competitivi. Torna in mente l’Igor di ‘Frankenstein Junior’: “Gobba? Quale gobba?”.

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