Il ricordo

Addio a Marco Borradori, leghista gentile

La Lega degli omaccioni che bloccavano l'autostrada entrò invece nelle stanze della politica con un giovane avvocato bei modi e dall’eloquio forbito

Di lotta e di governo (Ti-Press)
12 agosto 2021
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Trent’anni fa, quando Giuliano Bignasca fece uscire il genio leghista dalla bottiglia di via Monte Boglia, molti si attendevano le strade invase da manipoli di omaccioni maldisposti verso le istituzioni. Gli stessi, per intenderci, che avevano bloccato, in pieno luglio, l’autostrada A2 con la ‘Carovana della libertà’. Invece, a brillare fu subito un giovane avvocato luganese 32enne, dai bei modi, dall’eloquio forbito, perennemente in abito scuro e cravatta. Marco Borradori, allora, fece notizia e piacque, al di là del movimento di Bignasca, non solo perché era l’antitesi, almeno nei modi, del leghista tipico, quello che infiammava l’elettorato con un linguaggio fuori dagli schemi, ma anche per il suo fare da bravo ragazzo gentile. Bignasca, in sostanza, si era trovato un alter ego che attenuasse gli eccessi del suo ego straripante.

Tornando a quel ’91 in cui la Lega si affermò per la prima volta con propri rappresentanti nelle istituzioni comunali, cantonali e federali, Borradori entrò in Consiglio Nazionale, dove rimase fino al ’95, quando fu eletto Consigliere di Stato battendo Flavio Maspoli, che fu suo avversario tenace e non di rado velenoso negli anni che seguirono. A Borradori toccò il Dipartimento del Territorio e si narra che Giuliano Bignasca, memore dei tempi della ‘Carovana della libertà’, gli abbia impartito una benedizione all’altezza del personaggio, diffidandolo dall’introdurre gli 80 all’ora in autostrada per l’ozono. Borradori, naturalmente, non gli diede retta e quando fu il caso applicò quel provvedimento.

Dal ’95, con l’elezione in governo, per lui iniziò una cavalcata politica inarrestabile, pur se interrotta da qualche inciampo che gli diede filo da torcere. Sul piano più politico ci fu, nel 2003, la sua partecipazione al ridimensionamento della collega socialista, Patrizia Pesenti, cui il Consiglio di Stato tolse, a dire il vero per poco, il Dipartimento della Socialità. Poi, ma qui siamo nel campo del gossip, mai confermato dai protagonisti, Borradori e Pesenti pare si siano più che riconciliati, complice una breve liaison amorosa nata al Festival di Locarno. Ma del Borradori privato, della figlia che ebbe da una collaboratrice e che riconobbe, si sa molto poco. Si favoleggiava fosse un tombeur de femmes, un nottambulo impenitente. Uno scapolo d’oro, come si sarebbe detto una volta. Sicuramente è stato un fortissimo giocatore di ping-pong, di cui fu campione ticinese, e questo può contribuire a spiegare la sua velocità nel saper anticipare le azioni degli avversari. Ad esempio, nel 2013 capì che il suo tempo a Bellinzona era agli sgoccioli e accettò l’invito del suo mentore Giuliano Bignasca, scomparso l’anno dopo, a lasciare il Consiglio di Stato e a candidarsi a sindaco di Lugano. Missione compiuta a spese dell’inossidabile Giorgio Giudici, detronizzato e mai più ripresosi dalla sconfitta. Ma a Lugano Borradori aveva imboccato una strada impervia, che le vicende dell’aeroporto, i fatti del Molino e la questione controversa del polo sportivo hanno sicuramente reso sempre più in salita.

Dopo la sua riconferma a sindaco, nell’aprile di quest’anno, gli scrissi un messaggio scherzoso, paragonando la sua resistenza politica a quella di Mitterrand e di Andreotti. Mi rispose ringraziandomi, concludendo l’sms con un emoji che raffigurava delle mani giunte.

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