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Nella stanza dei bottoni, non per rammendare una camicia

La donna, le mimose e l'8 marzo: una parità di genere ancora tutta da realizzare perché più che un 'come' c'è ancora quel... quasi

Mimose (Ti-Press)
8 marzo 2021
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Non ho mai amato le mimose, così come non amo le rose per san Valentino e il bouquet della sposa (tanto che quel giorno lo dimenticai a casa). Come una rondine non fa primavera, un solo fiore infatti non può rappresentare il coronamento di una grande conquista. Ce lo ricorda, ogni anno, l'8 marzo. Occasione, spesso, per una pizza con le amiche (e in tempi di coronavirus neppure questa), meno per una riflessione seria sul 'gap' che le donne sono ancora chiamate a colmare nella reale, e auspicata e auspicabile, parità di genere. Le cifre, del resto, ci riportano questo divario ancora oggi più che mai presente. Pensiamo solo alle grandi aziende svizzere dove solo il 2,4% hanno un presidente della direzione (Ceo) donna, contro il 5,7% osservato nell'Europa occidentale e il 5,3% negli Stati Uniti. A livello di Cfo – cioè di responsabili delle finanze – il divario è ancora maggiore, con il 2,5% in Svizzera, il 14% nel nostro continente e il 14,7% oltre Atlantico.

Mosche bianche le donne in Ticino ai vertici di industrie, mondo politico e accademico, associazioni di categoria e sportive, probabilmente anche fra gli amministratori di condomini, e (ahimè) nei mass media, primi molte volte a rivendicare un maggior ruolo dell'altra metà del cielo nella società per poi disattenderlo in redazione. Per non parlare, ancora nel 2021, di un'equità salariale 'utopica'. La donna, come ha ben detto nell'intervista che troverete a pagina 10, la neuropsichiatra Paola Binetti, ha costantemente quel 'quasi' da colmare: "Se per entrare nella famosa stanza dei bottoni si richiederà a una donna di sacrificare alcuni aspetti della sua personalità, per esempio la dimensione affettiva e familiare, potrebbe essere difficile ottenere il suo consenso. Perché le donne non sono più disposte a rinunciare a una qualche parte di sé, perché ormai sanno che nessun sacrificio garantirebbe loro la felicità; vogliono decidere le loro priorità e viverle liberamente, sul fronte della vita privata e su quello socio-professionale, con la finalità necessaria, senza sensi di colpa e senza sentirsi eroiche".

Ecco, appunto, manca giusto quel... quasi. Un paletto costante nella vita di una donna, impegnata a tenere insieme famiglia e professione senza, in molti casi, politiche fiscali e sociali a proprio favore. Un incedere costante nel sentirsi sempre seconde a qualcuno: al padre, al compagno, ai figli, al capo, alla casa, persino alla babysitter o alla signora delle pulizie. Ecco più che donare una mimosa sarebbe bello oggi che un direttore di un'azienda chiamasse una sua dipendente per nominarla responsabile, un governo varasse una legge per riconoscere i costi del tempo riservato all'assistenza di un familiare malato da parte di una donna, che un figlio (maschio) preparasse la cena senza poi pretendere che a lavare i piatti ci pensi la mamma o la sorella e che, soprattutto, la donna comprendesse una volta per tutte che è ormai tempo, non da martire ma da autodidatta, di scardinare definitivamente quel fastidioso 'quasi'. 

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