Commento

Lia, sedotta e abbandonata

Aveva visto giusto e lungo, in quella seduta del GC del 24 marzo 2015, l’allora deputato del Ppd Caimi annunciando il proprio no alla Legge sulle imprese artigianali

3 marzo 2018
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Aveva visto giusto e lungo, in quella seduta del Gran Consiglio del 24 marzo 2015, l’allora deputato del Ppd Carlo Luigi Caimi annunciando il proprio no alla Legge sulle imprese artigianali: la Lia “è contraria alla Legge federale sul mercato interno”. Una delle pochissime voci fuori dal coro quella dell’avvocato luganese (eppure anche nel passato quadriennio non mancavano giuristi fra i parlamentari). La legge passò a larghissima maggioranza, con il consenso della destra, del centro e della sinistra. Era del resto il periodo in cui spirava forte il vento di ‘Prima i nostri’. ‘Prima i nostri’ a prescindere.

A prescindere anche dal diritto superiore, federale o internazionale. Ma l’importante era lanciare dei segnali. È che questi segnali finiscono per alimentare nei ‘nostri’ solo illusioni quando i giudici ricordano l’esistenza di determinate norme, quando ricordano che queste norme vanno rispettate essendo vigenti. Il destino giuridico, e forse anche quello politico, della Lia è stato deciso negli ultimi mesi, allorché i giudici – nella fattispecie quelli del Tribunale cantonale amministrativo, investito da una serie di ricorsi contro la normativa varata nel 2015 – hanno preso appunto la parola. La prima picconata del Tram alla Legge sulle imprese artigianali è dello scorso novembre, quando ha dato ragione a una ditta sopracenerina che contestava l’obbligo di iscriversi all’albo introdotto dalla Lia.

Nei giorni scorsi è partita la cannonata: accogliendo due dei tre ricorsi della Commissione della concorrenza, i magistrati d’Appello hanno dichiarato la Legge cantonale sulle imprese artigianali incompatibile con il diritto superiore, ovvero con la Legge federale sul mercato interno (ricordate le parole di Caimi?). Il Tribunale amministrativo ha così intonato il ‘de profundis’ alla Lia. E difficilmente, riteniamo, il verdetto del Tram potrà essere ribaltato dal Tribunale federale, in caso di ricorso a Mon Repos.

La Lia, una legge nata storta e gestita peggio, contrassegnata da pasticci procedurali, come la definizione a più riprese dell’importo della tassa di iscrizione all’albo, che hanno generato incertezza. E l’incertezza del diritto non è una buona cosa nei rapporti fra cittadini e istituzioni. Una legge, la Lia, contestata anche dai ‘nostri’, da diverse aziende ticinesi. Una legge concepita ufficialmente per garantire la presenza sul mercato di ditte affidabili, ma in realtà voluta per tenere alla larga i cosiddetti padroncini (provenienti dall’Italia). E ora? La parola torna dapprima al Consiglio di Stato. A questo punto l’abrogazione della Legge sulle imprese artigia­nali sembra comunque essere l’unica via d’uscita. Peraltro anche nel parlamento cantonale in molti si sono accorti, seppur con ritardo, che esiste il diritto superiore. La bocciatura dell’iniziativa parlamentare per tradurre in legge cantonale quella, popolare, denominata ‘Prima i nostri’, insegna. Lia, sedotta e abbandonata.  

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