Commento

Che cosa racconta la gaffe agli Oscar

28 febbraio 2017
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Non è il primo errore avvenuto durante una premiazione, quello di domenica sera agli Oscar, quando il premio per il miglior film a ‘Moonlight’ è stato inizialmente consegnato a ‘La La Land’: anche senza andare troppo indietro con gli anni, si possono citare l’errata incoronazione di Miss Universo nel 2015 o, giusto qualche mese fa, il premio per la miglior canzone ai britannici Mobo Awards consegnato alla band sbagliata; errori simili sono avvenuti in passato anche ai festival di Cannes e di Locarno, dove nel 2013 era stata inizialmente comunicata a Yves Yersin la vittoria del Pardo d’argento. E questo tralasciando cadute, errori di pronuncia e dichiarazioni più o meno imbarazzanti da parte di presentatori, ospiti e premiati… Del resto, la legge di Murphy (“se qualcosa può andar male, lo farà”) vale anche e forse soprattutto per le cerimonie ufficiali. Eppure, il “There’s a mistake” pronunciato tra lo stupore generale da Jordan Horowitz, uno dei produttori di ‘La La Land’, rimarrà nella storia, e non solo perché gli Oscar sono gli Oscar e l’evento è stato seguito in diretta da milioni di spettatori, ai quali si aggiungono tutti quelli che hanno recuperato la scena su YouTube. Il fatto è che quella gaffe, iniziata dietro le quinte con la consegna della busta sbagliata a Warren Beatty e conclusasi sul palco con il cast di ‘La La Land’ che lascia spazio e statuetta a quello di ‘Moonlight’, è a suo modo una allegoria delle aspirazioni di Hollywood che ora come non mai avverte l’esigenza di rinnovarsi. Perché ‘La La Land’ è un ottimo film, Damien Chazelle si è certo meritato l’Oscar per la miglior regia ed Emma Stone quello per la miglior attrice protagonista, ma a suo modo è un film radicato nel passato, e non solo per i continui omaggi alla storia del cinema statunitense. Il fatto è che avere come protagonista un giovane pianista bianco che vuol salvare il jazz e spiega alla fidanzata il senso della vita e della musica è un problema, non tanto per questioni di politically correct, ma proprio di inadeguatezza allo spirito del tempo. Spirito nel quale è invece perfettamente inserito ‘Moonlight’, storia in parte autobiografica di povertà ed emarginazione che affronta temi importanti quali l’omosessualità, la droga e l’Aids (e non a caso c’è chi, come Samuel L. Jackson, ha accusato la pellicola di essere “un’esca per Oscar”). Al di là del valore cinematografico di premiati ed esclusi, che cosa racconta la cerimonia con il produttore di ‘La La Land’ che, stringendo l’Oscar assegnatogli per errore, si dice fiero di poterlo consegnare ai suoi amici di ‘Moonlight’? Racconta di un’America che, nonostante tutto, vuole credere nella diversità e nell’apertura, non solo criticando la politica del presidente Trump – significativa l’assenza del regista iraniano Asghar Farhadi, vincitore dell’Oscar al miglior film straniero –, ma anche cercando di costruire un immaginario collettivo più equo e rappresentativo della variegata realtà che ci circonda. Nella speranza che questo immaginario arrivi poi alla politica e alla società.

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