Commento

Le misure di Tsipras somigliano a quelle chieste da Bruxelles

11 luglio 2015
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Tacitati o meglio tranquillizzati momentaneamente i creditori internazionali, ora Alexis Tsipras dovrà far digerire le riforme ai cittadini greci e soprattutto alla variegata coalizione di governo che non è costituita solo da Syriza. C’è anche l’appoggio determinante della destra indipendentista di Anel. Il premier greco ha di fatto accettato quanto proposto dall’ex Troika e orgogliosamente rifiutato da un voto popolare soltanto una settimana fa: riforme economiche (di fatto aumento di imposte e tagli alla spesa) in cambio di un rifinanziamento del debito pubblico. Questo, in sostanza, quanto contenuto nella bozza di provvedimenti inviati nella notte scorsa a Bruxelles. Certo, si è usato il cesello e alle misure giudicate troppo drastiche contenute in quello che è stato definito ‘l’ultimatum delle istituzioni europee’ sono stati limati gli spigoli più pungenti. Ma l’impianto della manovra fatto di risparmi e maggiori entrate sostanzialmente rimane analogo a quanto chiesto dai creditori.
Un punto d’incontro tra creditori e Atene – se sarà confermato dal parlamento ellenico e dalle istituzioni europee convocate per questo fine settimane – era obbligato. L’accordo era necessario per scongiurare per prima cosa uno strappo alla moneta unica ed evitare un fallimento incontrollato dello Stato greco. “Abbiamo un mandato per strappare un accordo migliore rispetto a quello dell’ultimatum dell’Eurogruppo, ma non abbiamo certo un mandato per portare la Grecia fuori dall’eurozona”, ha affermato Tsipras davanti al suo parlamento. Parole che certificano che due settimane fa i negoziatori greci si erano spinti oltre e la situazione rischiava seriamente di sfuggire di mano. Il default, e i cittadini fiaccati da più di dieci giorni di chiusura delle banche lo hanno intuito benissimo, sarebbe pesato per prima cosa sulla popolazione più debole con l’implosione del sistema finanziario e poi di quello economico, già fiaccato da cinque anni di crisi profonda. La seconda conseguenza sarebbe stata l’inizio dello sgretolamento del processo d’integrazione europea, che non è – meglio sottolinearlo – solo l’euro o una visione economicista dell’Europa.
Nel dettaglio la bozza di proposte va dalla rimodulazione delle aliquote Iva (6%; 13%; 23%), alla privatizzazione degli aeroporti regionali e dei porti. Quelli strategici del Pireo e di Salonicco, per uno dei pochi settori economici che ancora funziona, sono di fatto già opzionati dai cinesi della Cosco. Sul fronte Iva si elimina lo sconto del 30% sulle aliquote delle isole. La controversa tassa sugli immobili verrà mantenuta e si aumenteranno gli sforzi per combattere l’evasione fiscale. Al tempo stesso l’amministrazione finanziaria diventerà un organismo indipendente. Questo dovrebbe permettere una gestione più equa della riscossione dei tributi e soprattutto evitare una disparità di trattamento tra contribuenti forti (le fasce più agiate) e quelli deboli. Si aumentano le imposte sugli utili societari dal 26 al 28%. C’è pure un tentativo di ridurre le spese militari (praticamente mai toccate dai precedenti governi) e di far contribuire gli armatori – altra casta praticamente intoccabile – alle spese dello Stato con un aumento della cosiddetta imposta di tonnellaggio. Infine è stato toccato anche l’aspetto più spinoso: la riforma delle pensioni. Nelle intenzioni del governo l’età pensionabile ordinaria passerà a 67 anni entro il 2022 e chi si ritira in anticipo perderà il 10% della rendita prevista. Anche le cosiddette ‘baby-pensioni’ dovrebbero diventare gradualmente un ricordo.
In totale la manovra dovrebbe incidere per 13 miliardi di euro suddivisi su due anni e l’impatto sui conti pubblici dovrebbe generare un surplus primario (saldo tra entrate e uscite al lordo degli interessi sul debito) di 1, 2, 3, e 3,5% dal 2015 al 2019.
In cambio Atene chiede 53,5 miliardi di euro di nuovi prestiti per onorare le scadenze del maxi-debito fino al 2018. Inoltre l’accesso a 35 miliardi di fondi strutturali e agricoli dell’Ue per stimolare la crescita e l’occupazione. Un taglio del debito dovrebbe essere escluso anche se i creditori, come auspicato dallo stesso presidente del Consiglio Ue Donald Tusk e dalla direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, dovrebbero concedere misure per rendere più sostenibile il debito greco.
Ora la palla – per usare un termine calcistico abusato in queste due settimane folli – passa nel campo delle istituzioni europee che potrebbero già dare il via libera oggi al terzo pacchetto di salvataggio. Ma la partita, questa volta politica, si gioca anche ad Atene. Il passaggio parlamentare, grazie all’appoggio dell’opposizione moderata (Nea Democratia) e all’ala meno intransigente di Syriza, dovrebbe essere garantito. Il rischio però è che si sfaldi la coalizione di governo e la domanda che si faranno i cittadini sarà: ma su cosa abbiamo votato domenica 5 luglio?

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