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Microplastiche da record nel Ceresio. E in bottiglia?

Mentre si testano nuove tecnologie, due studi aprono nuovi interrogativi sulle contaminazioni dell'acqua, i rischi per l’ecosistema e per l'essere umano

Mentre si testano nuove tecnologie, due studi aprono nuovi interrogativi sulle contaminazioni dell'acqua, i rischi per l’ecosistema e per l'essere umano

22 gennaio 2024
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Acqua in bottiglia di plastica alla lente dei ricercatori americani. Un litro può contenere da 110’000 a 370’000 microscopici frammenti di plastica, una quantità da 10 a 100 volte più grande delle stime fatte finora. Detto altrimenti, assieme all’acqua potremmo inconsapevolmente ingoiare frammenti di plastica (le cosiddette nanoplastiche) così minuscoli da attraversare i tessuti dell’intestino e finire direttamente nel flusso sanguigno viaggiando fino agli organi. Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti. Guidata dalla Columbia University, la ricerca, condotta su tre celebri marche d’acqua, ha utilizzato una nuova tecnica di ultimissima generazione (con il puntamento di due laser) in grado di individuare anche le particelle più piccole (inferiori a 100 nanometri) finora sfuggite alle osservazioni. Nulla, ovviamente di percepibile a occhio nudo. Ricercatrici e ricercatori hanno scovato PET (utilizzato per imbottigliare bevande), nylon, materiali utilizzati nei processi industriali e nanoparticelle ancora da identificare. Si presume che l’acqua imbottigliata in plastica possa venir contaminata in diverse fasi della catena di produzione e distribuzione.

Ti-PressAcqua in bottiglia o dal rubinetto?

Fin qui la cronaca recente. Cerchiamo ora di inquadrare questa notizia che ad alcuni avrà fatto salire l’ansia, ad altri avrà strappato un sorriso amaro, ma comunque fa riflettere sull’impronta dell’attività umana sulle nostre acque e ci sprona a ricercare soluzioni. Il dibattito è acceso tra chi paventa eventuali effetti tossici e additivi dell’acqua imbottigliata in plastica e chi predica prudenza, specificando che mancano metodi standardizzati di analisi e un consenso scientifico sui potenziali impatti sulla salute delle particelle nano e microplastiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità non si è sbilanciata, suggerendo l’urgenza di nuove ricerche sulla presenza di queste sostanze nelle acque che beviamo e delle loro conseguenze sul nostro organismo (quanto si accumulano e se sono tossiche).

Nanoplastiche queste sconosciute

Una cosa è certa, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, per i ricercatori si aprono nuove frontiere nell’infinitesimale piccolo. “Questo studio è focalizzato più sul metodo che sull’analisi dell’acqua in bottiglia. I ricercatori hanno implementato la tecnica di spettroscopia Raman, usata per identificare particelle molto piccole, le nanoplastiche, un mondo ancora poco esplorato. Ne hanno trovate in grande numero nell’acqua delle bottiglie testate. È un dato rilevante, che evidenzia le problematiche legate alle plastiche, ma la vera novità è lo strumento usato”, spiega Federica Rotta, dottoranda all’Istituto scienze della Terra (Dipartimento ambiente costruzioni e design, SUPSI) impegnata in uno studio di monitoraggio e quantificazione delle microplastiche (particelle inferiori ai 5 millimetri) in ambiente, ossia nel lago Ceresio promosso dal Dipartimento del territorio e dalla Commissione internazionale per la protezione delle acque Italo-Svizzere.

I primi studi risalgono agli anni 80 negli oceani. È una ricerca giovane. I processi sono complessi: “Grazie a reti, filtriamo l’acqua del lago. Il campione viene, quindi, passato al setaccio e trattato con soluzioni chimiche per permetterci di osservarlo al microscopio e contare le particelle presenti all’interno del campione. Lo scopo è quantificare e classificare il tipo di plastica che abbiamo trovato. Saperlo ci aiuta a capire quali sono le fonti contaminanti”. Detto in parole semplici, da dove viene la plastica che si trova frammentata nelle acque.

Ceresio e Maggiore tra più inquinati da microplastiche

Si stima che ogni anno finiscono nei mari ben 14 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Reti da pesca, bottiglie, buste… ma i più pericolosi per la salute umana potrebbero essere i frammenti più piccoli, ossia le microplastiche invisibili a occhio nudo che possono entrare facilmente nella catena alimentare. Ormai sono ovunque. Anche fiumi e laghi sono osservati speciali. La ricerca sulle microplastiche nei laghi in Svizzera è iniziata nel 2014, in campo c’erano i ricercatori del Politecnico di Losanna (Epfl) finanziati dall’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam). In Ticino, la prima analisi, voluta dal Dipartimento del territorio, risale al 2018. Risultato: il lago di Lugano era quello messo peggio, con più microplastiche nelle acque superficiali: cioè 213 mila per chilometro quadrato. Quello di Zurigo ne contava 11mila per chilometro quadrato.

Passano gli anni e continuano a essere poco confortanti i risultati per Ceresio e Maggiore. Entrambi risultano tra i laghi più inquinati in uno recente studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature, che ha analizzato le acque di 38 laghi in 23 Paesi. Laghi come isole di plastica negli oceani? Alla ricerca, condotta dall’Università di Milano Bicocca, hanno partecipato 79 ricercatrici e ricercatori, tra cui anche il settore Ecologia acquatica dell’Istituto scienze della terra (SUPSI). Per misurare il livello di questi inquinanti nei laghi e nei bacini di acqua dolce, i ricercatori hanno analizzato i campioni usando la micro-spettroscopia Raman.

Lavaggi domestici e littering

Ovunque è stata scovata plastica, anche nei laghi più remoti. Ovviamente, i più contaminati erano i laghi con bacini più urbanizzati. In cima alla lista appaiono appunto il lago Maggiore e quello di Lugano, assieme ai laghi Tahoe (Stati Uniti) e Neagh (Irlanda del Nord): tutti fondamentali per l’approvvigionamento idrico e le economie locali. “Nel lago di Lugano ci sono concentrazioni di microplastiche elevate (10 per metro cubo d’acqua) ma dai dati raccolti fino a ora i valori sono stabili negli anni. Bisogna mantenere alta l’attenzione, continuare a monitorare e fare ulteriori analisi. Va considerato che rispetto agli altri laghi studiati, il Ceresio è un bacino piccolo, fortemente urbanizzato e con un solo emissario”, precisa la dottoranda Rotta. Capire da dove vengono queste plastiche è la sfida. “Principalmente da materiali per contenitori, imballaggi alimentari, littering e materiale plastico lasciato esposto ad agenti esterni, fibre sintetiche come nylon, probabilmente da lavaggi domestici di capi. Anche se i depuratori sono in grado di eliminare oltre il 90% delle plastiche, quello che riesce a passare arriva nel lago”.

Questo studio ha sfatato la credenza che le acque dolci continentali fossero piuttosto un vettore di trasporto delle microplastiche dagli ambienti terrestri, dove vengono prodotte, agli oceani. Ora è chiaro che anche i laghi possano accumulare concentrazioni di microplastiche potenzialmente dannose per l’ambiente.

Ancora analisi nel Ceresio

Sapere che il lago di Lugano è tra i più inquinati stimola a reagire. Infatti l’Istituto con sede nel campus SUPSI di Mendrisio, sta cercando di ricostruire il ciclo di queste microplastiche: “Stiamo analizzando i corsi d’acqua in entrata e in uscita dal lago, così come le zone in profondità dal lago stesso per capire da dove vengono, come si distribuiscono le plastiche, se restano intrappolate nel lago o escono. Sono materiali resistenti, tendono a frammentarsi in pezzi sempre più piccoli sia per radiazione ultravioletta sia per il moto ondoso sia per i venti. Restano nell’ambiente”. Gli studi sull’impatto delle microplastiche sull’ambiente sono ancora pochi ma si fa qualche passo avanti: “Si osservano interazioni a tutti i livelli della catena alimentare. Come microalghe che possono colonizzare i frammenti, creare una nuova comunità che può alterare l’ecosistema del lago. Negli oceani, in alcuni casi, è stato osservato il trasporto di specie invasive. Sono tasselli che stanno emergendo”. Anche per i pesci non sono tutte rose e fiori. “Ci sono primi studi che evidenziano come le nanoplastiche possono passare nel sangue e arrivare nei tessuti. Quale effetto abbia sull’organismo non è ancora chiaro. Servono ulteriori ricerche”.

Acqua di rubinetto o in bottiglia?

Infine, concludendo chiediamo: meglio acqua rubinetto o in bottiglia? Una risposta chiara non la riceviamo... “Prima di poter dare una risposta sono necessari ulteriori approfondimenti. Penso che occorra un uso sempre più consapevole e sostenibile della plastica. Ridurlo dove è possibile e porre più attenzione alla dispersione casuale della plastica nell’ambiente”. Tutti siamo chiamati a ridurre l’uso di plastica monouso, di prodotti come bottiglie di plastica, sacchetti e stoviglie usa e getta, per cercare di ridurre la quantità di plastica che finisce nell’ambiente e che alla fine diventa microplastica.