laR+
logoBol

‘Mi sento inutile come una scopa nel deserto’

Elyse, 17 anni ha già tentato 5 volte di suicidarsi. Fa dentro e fuori dalla Clinica psichiatrica di Mendrisio. Sua madre: ‘Mancano struttura adeguate’

Elyse, 17 anni ha già tentato 5 volte di suicidarsi. Fa dentro e fuori dalla Clinica psichiatrica di Mendrisio. Sua madre: ‘Mancano struttura adeguate’

20 ottobre 2023
|

“Ho visto il corpo di mia figlia ridotto a uno strazio. Quei tagli sulle braccia, sulle gambe urlavano tutto il suo dolore. E io mi sento così inutile. Per quanto io possa starle vicina, é sola col suo mostro. Mi ha detto che ogni santo giorno deve affrontarlo da sola. Ed é vero.. Non capire da dove arriva... é straziante. Mi ripeto che siamo fortunati, perché lei c'è. Altri adolescenti non ce l'hanno fatta”. Le parole di Sheila Barenco pungono come un ago conficcato nel cuore. Ci apre la sua casa a Lostallo, la sua intimità familiare perché vuole parlare di sua figlia Elyse. A soli 17 anni, ha già tentato cinque volte il suicidio e ha alle spalle una decina di ricoveri in urgenza, solo negli ultimi due anni. “Elyse è una sopravvissuta, una guerriera ammaccata con tanta forza e poca autostima. Mi dice spesso: ‘Mamma, mi sento inutile come una scopa nel deserto”. Abbiamo raccontato storie di ragazzi ansiosi, sofferenti, violenti. Abbiamo dato la parola agli esperti, spesso si dimentica il punto di vista del genitore: “Ti senti solo in questo inferno. Siamo accompagnati, ma le strutture adeguate non sono abbastanza, servono più specialisti”. Elyse purtroppo fa dentro e fuori dalla clinica psichiatrica di Mendrisio. “Non è una soluzione per questi adolescenti fragili. Li girano sostanze ed è una struttura soprattutto per adulti”.

Dipingo per distrarmi da pensieri intrusivi

Nel luglio 2021, ad Elyse viene diagnosticata la sindrome di Tourette Plus, la malattia neurologica dei mille tic, anche parolacce e bestemmie incontrollate, accompagnata da una sintomatologia ossessivo-compulsiva. Aveva 15 anni. Da ragazzina i tic motori erano lievi quasi impercettibili ma aumentano progressivamente fino a esplodere in crisi violente. “Il mio primo tic vocale è stato un insulto a mia madre (cioè stronza!). Eravamo in pubblico! Lei non si è arrabbiata, ha detto: “Secondo me questa è Tourette! I tic sono come il singhiozzo: nonostante il massimo impegno, non è possibile trattenersi”, racconta Elyse in un lavoro fatto a scuola, intitolato ‘La mia vita in un calderone’. Lo sfogliamo con mamma Sheila. Racconta il suo primo ricovero all’ospedale Civico a Lugano, i sedativi, le crisi sempre più violente, i compagni di camera al reparto di pedopsichiatria. Ci sono tante foto, ci sono i suoi disegni. Lei dipinge, ascolta musica per ingannare i tanti, troppi pensieri intrusivi che non riesce a spegnere nella sua testa. “In un anno e mezzo – scrive - ho passato 393 giorni ricoverata. Ho incontrato tanti medici, infermieri e ragazzi e ragazze sia negli ospedali psichiatrici sia nelle varie comunità. Lo spazio per noi giovani con queste difficoltà non è sufficiente. Spero tanto che questa situazione possa presto cambiare”.

Mi taglio per stare meglio

“Mia figlia ha iniziato a tagliarsi braccia e gambe fino a far uscire il sangue. Mi diceva che assieme al sangue, usciva anche la sofferenza e sentiva meno ansia. Era davvero una pena”, racconta mamma Sheila. Tanti, troppi adolescenti curano il dolore col dolore. Sembra assurdo ma gli specialisti spiegano che stimolando le vie del dolore si attivano risposte endogene (il rilascio di ormoni come endorfine, ossitocina, dopamina) che leniscono il dolore stesso. Ferirsi con una lametta è un modo per star meglio, per spegnere i pensieri, per sfuggire all’angoscia. Sembra un paradosso ma è quello che succede. Per Elyse era solo l’inizio. I taglietti non bastavano più e più volte ha tentato di togliersi la vita. “Anche provando a bere la candeggina. A casa ormai medicamenti e lavanderia sono sotto chiave. Ma lei non può fare una vita sotto chiave”.

Come genitore vieni rivoltato come un calzino

Mantenere una mente lucida e positiva non è facile. La malattia di Elyse è uno tsunami che ha travolto l’equilibrio di tutta la famiglia. Un genitore farebbe di tutto per vedere tornare il sorriso sul volto del proprio figlio, ma sul percorso ci sono molti ostacoli: “Ti smontano, ti rivoltano come un calzino per scovare chissà quale segreto impenetrabile. Noi ci mettiamo a nudo pur di aiutare nostra figlia, ma non ci sentiamo sbagliati. È davvero molto dura! Ti senti frustrato e impotente, ma fai del tuo meglio per aiutarla a crescere passo dopo passo”, precisa la madre. Si vive con la paura dentro, ma si deve andare avanti. “Cerco di distrarmi, cammino molto, sto provando ad avere un distacco emotivo, consapevole di aver fatto tutto il possibile”. Elysa ora vive in una struttura del Locarnese, ogni due settimana va a casa, ma di fatto è più spesso alla Clinica psichiatrica di Mendrisio. “Dover attendere in una struttura come quella di Mendrisio, un posto poco adatto. Significa dare a un adolescente la possibilità di esplorare mondi magari ancora sconosciuti. Tutto ciò é deleterio. Servono più posti per curare i nostri ragazzi”.

Il futuro di una guerriera ammaccato

In una società che corre quale futuro ha Elyse e tanti altri come lei. Mentre i compagni fanno la licenza di media e vanno avanti, lei passa da un ricovero all’altro. Il suo sogno è diventare medico o infermiera specializzata “per curare tutte quelle persone che, nei loro momenti meno felici, hanno bisogno d’aiuto”. Ha anche un piano di riserva. “Farei il pompiere e se non dovessi riuscire nemmeno in quello vorrei provare a fare un tirocinio, sono brava in disegno”. Intanto sua madre, pur cercando di restare positiva, si chiede se questo calvario avrà mai una fine. “Vedo ragazzi, ricoverati in ospedali psichiatrici. Sempre le stesse facce, stessi gesti, tutto uguale. Passano i mesi e loro sono sempre li. Quando incrocio quei volti, mi viene voglia da sfiorargli il cuore con una carezza e sussurrargli all'orecchio... Ricordati di vivere!”

Sua figlia è uno di quei volti.

Lo psichiatra infantile

‘Delusione e vergogna mettono in scacco tanti giovani’

Ragazzi che si sentono sbagliati, sono arrabbiati e si autopuniscono, ferendosi con una lametta, per spegnere i pensieri, per sfuggire all’angoscia, fino a tentare il suicidio. Ma angoscia per cosa? Servizi psicologici pubblici, psichiatri e psicoterapeuti dell’infanzia e dell’adolescenza, centri educativi per minori non stanno dietro ai casi, ovunque c’è la lista d’attesa. E la delusione aumenta. «La società odierna fatica maggiormente a seguire l’evoluzione di un adolescente. Il disagio giovanile c’era prima della pandemia, che forse l’ha potenziato. Chi era abituato a uscire e socializzare è rimasto in casa e poi ha dovuto reimparare a connettersi col mondo» dice il medico psichiatra e psicoterapeuta infantile e adolescenziale Domenico Didiano, che dopo aver coordinato per più di un decennio il servizio medico psicologico territoriale, da 6 anni lavora nel suo Studio a Locarno.

Osserva adolescenti più fragili?

Sono più in difficoltà su vari fronti. Il loro modo di interagire col mondo va alla velocità dei social. Le relazioni sono accelerate, immediate, in una perenne giostra emotiva, un momento all’apice, subito dopo in cantina, arrossendo dalla vergogna. Ecco, delusione e vergogna mettono tanti giovani in scacco.

Vergogna, delusione, rabbia per cosa?

È una sorta di ribellione verso una società che ha pressanti aspettative, valori narcisistici legati all’estetica e alla popolarità e non permette loro di essere se stessi. Bisogna essere per forza belli e famosi. Ma i ragazzi sperimentano di non esserlo. Nei social basta poco per avere un eco planetario e una parola sbagliata per non essere più amati, alla moda. Il terreno su cui sviluppare un senso di appartenenza è molto instabile.

Ma il gruppo, gli amici ci sono, non aiutano a tirarsi su?

Gli amici sono piuttosto gruppi social, molto fluidi, che da oggi al domani possono scomparire. Si è indebolito il senso di appartenenza. C’è meno stabilità relazionale e l’adolescente è più insicuro. Inoltre sono cambiati i valori di riferimento, se una volta erano i genitori, l’allenatore, il docente ora sono modelli irraggiungibili, come il rapper o il trader che guadagnano subito milioni. La pressione è forte: avere successo subito. Le aspettative sono irraggiungibili. Questo li fragilizza, li blocca. Come antidoto distruggono il loro corpo che non sentono abbastanza bello e popolare.

Autolesionismo, anoressia, tentativi di suicidio: è un modo di chiedere aiuto?

Ferirsi dà un sollievo temporaneo ma è anche un modo per mostrare il proprio dolore psichico, il vuoto, l’angoscia, la paura…. È un processo inconscio: mi ferisco e finalmente mio padre si occupa di me, mi ascolta, mi parla, mi abbraccia. Chi si ferisce, non vuole più sentire il vuoto interiore, vuole trasformare la sofferenza psichica in una sofferenza fisica, più gestibile, visibile e più controllabile. I tagli raccontano la mia storia, chi sono, diventano parole di dolore che tutti vedono. È può diventare anche un modo per regolare gli sbalzi di umore.

Che cosa può fare un genitore?

Legittimare il dolore dei ragazzi, vederli e sentirli per quello che sono realmente. Mai sottovalutare questi gesti che segnalano un disagio che va riconosciuto. Non ci sono colpe, in una società frenetica dove per tutti è complicato fermarsi ed ascoltare. Ma solo ascoltando possiamo entrare in contatto col dolore più intimo di un adolescente. Relazione, legami, presenza, condivisione del tempo fermo che non passa mai, il pianto senza parole, che cerca solo carezze, non domande, non perché.

Tanti genitori non riescono a entrare in contatto emotivo col loro figlio e si sentono soli. Mancano strutture in Ticino?

I servizi pedopsichiatrici pubblici e privati sono oberati. Si parla di potenziare le attuali strutture presenti sul territorio appoggiandosi nel frattempo sulle Cliniche psichiatriche per adulti che purtroppo non sono attrezzate per accogliere adolescenti con tutti i rischi annessi.

Queste sofferenze non si risolvono con una pastiglia ma con un lavoro di psicoterapia intenso coinvolgendo quanto più possibile la famiglia. Invece di tagliare sul sociale e sul sanitario, bisogna investire, dare alle famiglie e ai ragazzi uno spazio dove fermarsi e investire in modo intenso su ciò che è successo e succede (cutting, tentati suicidio…). Sentirsi appartenere a qualcosa, fare relazione, costruire legami.

L’adolescente che si sente bloccato nel suo processo evolutivo non è un paziente psichiatrico, ma se resta a lungo in questo stallo, rischia di sviluppare una psicopatologia. Se questa fragilità viene accompagnata, si può risolvere e ci guadagna tutta la società.