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Svizzeri ‘costretti’ a studiare medicina a Istanbul

La Svizzera recluta sempre più medici all’estero, anche dalla Romania, mentre vari aspiranti dottori devono emigrare per formarsi. Le storie di 3 ticinesi

La Svizzera recluta sempre più medici all’estero, anche dalla Romania, mentre vari aspiranti dottori devono emigrare per formarsi. Le storie di 3 ticinesi

13 febbraio 2023
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Tra qualche anno, per capire cosa dice il dottore, saremo costretti a parlare inglese, tedesco o rumeno. Infatti 3 medici su 4 si sono diplomati all’estero, soprattutto in Germania, Italia, Francia, Romania. La penuria è drammatica. Entro il 2040 si stima mancheranno 40mila infermieri e 5’500 dottori.

E la Svizzera che fa? Invece d’investire e formarne molti di più, li porta via ad altri Paesi. Un azzardo immorale che potremmo pagare a caro prezzo. La pandemia ha mostrato che altri Paesi sono pronti a lottare per riavere i loro camici in tempi di crisi, lasciando sguarnite le corsie degli ospedali elvetici. Mentre la politica nicchia, centinaia di aspiranti medici ogni anno vengono esclusi dalle università svizzere, dove la selezione in medicina è feroce e disumana. C’è chi non si arrende e si iscrive a università straniere. Come Giovanna R. a Istanbul, come Michelle Betschart in Bulgaria, come Pietro Ferrario a Milano. Ci raccontano il loro percorso a ostacoli per infilare un camice e poter lavorare nel loro paese.

Incongruenze e ipocrisie di un sistema che mostra tutti i suoi limiti. Di fronte alla drammatica penuria e alla rischiosa dipendenza dall’estero, perché la Svizzera non investe per formare più medici? È solo una questione di soldi? Ci aiuta a capire il prof. Michele Ghielmini capo area formazione e ricerca all’Eoc, professore all’Usi e all’Università di Berna.

Una prima considerazione è di natura culturale. «Il consumo sanitario è molto elevato in Svizzera. Siamo i secondi al mondo, dopo gli Stati Uniti, per spesa sanitaria pro capite, rispetto al Prodotto interno lordo. Diversi Paesi funzionano bene con meno medici», precisa il professore.

Detto questo, un fatto è assodato: la Svizzera forma pochi medici, troppo pochi.

Nel 2016 Consiglio federale e parlamento hanno messo sul piatto 100 milioni di franchi per formare più dottori (1’300 diplomi all’anno entro il 2025) ma è ancora insufficiente. «La formazione in medicina è molto onerosa perché è molto orientata alla pratica». Ad esempio, nei primi anni di Bachelor, gli studenti di medicina, lavorano in piccoli gruppi in laboratorio, per imparare fisica, chimica, biologia. «È molto costoso. Anche durante il master c’è molta pratica. Alla Facoltà di medicina dell’Usi, gli studenti passano metà del loro tempo in ospedale. Logisticamente abbiamo posto al massimo per settanta studenti l’anno». Qui sta il nodo. Mantenere un iter formativo molto pratico, molto caro e di altissimo livello per pochi, oppure orientarsi a una formazione più teorica, formando più medici?

Coinvolgere più ospedali nella formazione

Bisognerà fare dei compromessi per arrivare a una possibile quadratura del cerchio. «Un primo passo sarebbe quello di coinvolgere più ospedali nella formazione dei candidati medici, non solo quelli universitari. Questo significa formare più formatori. In Svizzera ci sono pochi esperti in ‘medical education’, coloro che insegnano ai medici come formare gli studenti di master. A Lugano ne abbiamo tre per 400 medici insegnanti», spiega il prof. Ghielmini. Per lui, il rischio «è avere diplomati che non hanno mai visitato un paziente, come succede in alcuni Paesi europei, dove gli studenti devono passare molti esami teorici ma fanno pratica solo quando iniziano a lavorare».

Intanto, dal 2012 al 2021 le università svizzere hanno rilasciato 9’926 diplomi in medicina; nello stesso lasso di tempo, sono stati riconosciuti 28’525 diplomi conseguiti all’estero. In altre parole: solo poco più di un quarto dei nuovi dottori è formato nella Confederazione. Nel 2010, la quota di diplomi esteri era del 25%, nel 2021 raggiungeva il 38%. Pochi medici svizzeri ben istruiti, tanti aspiranti dottori chiusi fuori dagli atenei e sempre più professionisti con diplomi esteri. È un controsenso. «I diplomati elvetici hanno un livello di formazione molto elevato soprattutto rispetto al livello di preparazione dei colleghi che arrivano da Paesi extra europei». Nel 2021, il 67% (ossia 1’838) dei diplomi esteri era stato rilasciato da Germania, Italia, Francia, Romania e Austria; il restante 33% (ossia 898) era ripartito tra 72 Paesi.

‘Una scelta immorale’

Dipendere dall’estero è comunque molto rischioso e poco etico. «Altri Paesi hanno investito per formare una classe medica che poi va a lavorare in Svizzera. Eticamente è molto discutibile, se non immorale. La pandemia ha anche evidenziato il rischio che i medici stranieri vengano richiamati a casa. Molti paesi europei hanno migliorato le condizioni di lavoro della classe medica per tamponare l’emorragia verso nosocomi elvetici». Ma non è tutto. «Non tutti hanno una formazione di qualità. Chi ce l’ha, può avere gap culturali, e risultare carente nella comunicazione coi pazienti».

In conclusione la Svizzera avrebbe tutto l’interesse a fare meglio nell’interesse di tutti. «Rivedendo l’elevato standard d’insegnamento, potremmo formare il doppio degli studenti. Avremmo però medici meno preparati».

Oppure ci ritroveremo a dover parlare inglese col medico, come titolava settimana scorsa la NZZ.

Da Zurigo a Milano

‘Tremenda competizione all’uni in Svizzera’

Anche il medico Pietro Ferrario, 31 anni, ha dovuto passare la frontiera per poter studiare medicina. Malgrado la Svizzera soffra di una drammatica carenza di medici, continua a chiudere le porte delle università a molti aspiranti dottori. Alcuni svizzeri devono emigrare per formarsi, mentre si prendono professionisti dai paesi limitrofi. «Non mi sembra proprio sensato!». A fermare il ticinese sono stati gli esami attitudinali (da 6-8 ore) che selezionano, in modo brutale, l’accesso alla Facoltà di medicina nella svizzera tedesca. Un esame poliedrico che valuta capacità di visione tridimensionale, di memoria, testa la velocità. Poco a che fare con l’arte medica. Pura selezione, che crea molta competizione e un clima tutt’altro che salutare tra gli studenti. «Non c’era un modo per prepararsi. Ci ho provato ma è andata male», ci spiega. Si iscrive a biologia, sperando che qualche corso gli venga tenuto buono. Finisce bene l’anno, riprova l’ammissione, ma non passa. «Ho poi scoperto che studenti della parte tedesca e francese si preparavano con corsi intensivi organizzati da società specializzate, si allenavano simulando test attitudinali». In Ticino non sembra esistere nulla di simile.

‘Non mi sono lasciato scoraggiare’

Il desiderio di studiare medicina è comunque più forte degli ostacoli. «Non mi sono lasciato scoraggiare dalle difficoltà iniziali». La sua motivazione non vacilla. «Mio padre è medico e il suo lavoro mi ha sempre affascinato; inoltre ero bravo in biologia, anatomia e fisica. Aiutare il prossimo è sempre stato parte del mio carattere». Si orienta verso la Facoltà di medicina a Milano, dove passa gli esami di ammissione (su matematica, biologia, chimica, fisica) al primo tentativo. «C’era un ottimo clima di lavoro, una buona collaborazione tra studenti. Niente a che vedere con la tremenda competizione che ho vissuto in Svizzera».

Finiti gli studi, inizia la sua carriera all’ospedale Beata Vergine a Mendrisio, prima in chirurgia, poi in medicina. Vuole diventare medico di Medicina interna. «Non ho dovuto rifare gli esami perché la Svizzera riconosce la laurea svolta in Italia». La sua è stata una scelta vincente. Ma il medico ticinese continua a non capire una cosa: "Perché un Paese che soffre di carenza di curanti non crea le condizioni per formarne più giovani invece di farli scappare?".

Da Zurigo a Pleven

Il bachelor in Bulgaria ‘Un salto nel vuoto’

Michelle Betschart, 25 anni, sta facendo il secondo anno di master in medicina all’Usi di Lugano. Un traguardo che le è costato molta fatica e tanti chilometri. Finito il liceo a Bellinzona, la giovane tenta di entrare alla Facoltà di medicina a Zurigo, dove non supera il test attitudinale, che valuta capacità di visione tridimensionale, di memoria, testa la velocità. Anche chi è brillante rischia di non farcela. «Quel test era una barriera, avevo studiato anche se non c’è un vero corso per prepararsi. Una volta arrivata all’esame mi sono bloccata».

Il cirillico e una cultura diversa

La bellinzonese non demorde, fa un primo anno di biomedicina a Zurigo. Ritenta invano il test. «Ero molto frustrata e avevo già perso un anno, ma volevo a tutti i costi studiare medicina». La sua motivazione è forte. Anche la tenacia. Qualità che probabilmente l’aiuteranno a diventare un ottimo curante. «Mia mamma è infermiera e mi ha trasmesso la passione per la medicina, la voglia di aiutare chi sta male. Non volevo rinunciare al sogno di diventare medico».

La sua determinazione la porta in Bulgaria, a Pleven, dove la Facoltà di medicina è aperta a studenti internazionali. «I corsi erano in inglese, ma poi c’era la parte clinica in ospedale. Ho dovuto imparare il bulgaro per relazionarmi coi pazienti. La pandemia ha poi accorciato la parte pratica». Tre anni di bachelor arricchenti, ma non facili. «È stato un salto nel vuoto. La cultura era diversa, anche la lingua, ho dovuto imparare l’alfabeto in cirillico, arrangiarmi a trovare un alloggio. Ho lasciato tutti per poter studiare medicina. Una facoltà che c’è anche in Svizzera. Anche per la mia famiglia non è stato facile lasciarmi andare». Almeno il contesto di studio era internazionale. «Molti miei compagni erano italiani». A darle le prime informazioni un’agenzia italiana, che sponsorizza (non certo gratuitamente) i corsi universitari in Bulgaria.

«Ogni semestre costava 3’500 euro. La vita era meno cara, con 500 franchi al mese, riuscivo a vivere bene». Finito il bachelor, c’è un nuovo ostacolo: il riconoscimento degli studi esteri in Svizzera. «Per fortuna, me li hanno riconosciuti essendo la Bulgaria nell’Ue».

Nello stesso periodo a Lugano, si apre la possibilità di fare il master in medicina, Michelle Betschart si iscrive all’Usi. La precedenza va a chi ha studiato in Svizzera. «C’era ancora un posto e mi hanno presa. È stato un miracolo. Mi ritengo fortunata, posso completare gli studi a casa mia».

Il primo anno di master è alle spalle, ha superato gli esami. «Non avevo grosse lacune». Davanti ha un nuovo obiettivo: superare l’esame federale di medico. «È peccato che tanti giovani vengano esclusi dagli studi di medicina, in un Paese dove c’è una drammatica carenza di curanti. La Svizzera dovrebbe investire di più». La sua tenacia è stata premiata.

Da Losanna a Istanbul

‘Ho dovuto studiare turco per fare la pratica’

Giovanna S., 30 anni, è medico assistente in formazione presso un ospedale universitario svizzero. Vuole diventare medico di famiglia e tornare nella Svizzera italiana, dove è cresciuta. Sa che in Svizzera mancano molti medici, soprattutto quelli di famiglia. Ed è contenta di dare il suo contributo.

Arrivare fin qui per lei non è stato facile. Dopo un anno in un’università della Svizzera francese dove non serve un esame d’ammissione per accedere alla facoltà di medicina ha dovuto spostarsi all’estero per poter continuare la formazione. Grazie ad amici ha trovato la possibilità di studiare medicina a Istanbul. Approdare nel paese a maggioranza islamica, per una giovane donna, futuro medico, non è stata una passeggiata.

‘È frustrante sentirsi esclusa dal tuo Paese’

«Era il 2012, Istanbul era una città aperta, per i laici l’educazione è importante anche per le donne. Gli studi erano in inglese, con me c’erano anche studenti dalla Germania. L’esperienza è stata sicuramente interessante anche se non priva di ostacoli, ho dovuto imparare il turco per la parte pratica in ospedale», dice la professionista che preferisce rimanere anonima.

La speranza di fare il master in Svizzera si scontra con le norme elvetiche. Continua in Turchia. I suoi voti sono buoni e la giovane ottiene una borsa di studio. «È stato frustrante sentirsi esclusa nel tuo Paese. Non ci sono abbastanza posti di studio anche se mancano medici. In un certo modo la Svizzera si serve dei paesi limitrofi per poter colmare questa mancanza di personale. Diversi svizzeri devono formarsi all’estero e può farlo solo chi può permetterselo. Perché la Svizzera non forma più dottori?».

La dottoressa è comunque grata di avere fatto questa esperienza arricchente. «Nella città svizzera in cui mi trovo a lavorare ci sono tanti pazienti turchi e mi torna utile conoscere la loro lingua e cultura». Visto che la Turchia è fuori da Schengen, i suoi diplomi (Bachelor e Master) non sono stati riconosciuti automaticamente in Svizzera, dove ha fatto l’anno pratico. «Ho potuto cominciare a lavorare come medico assistente in ospedale per poi poter fare gli esami di stato svizzeri e iniziare la mia specializzazione». Suo padre è medico. «Il suo studio era sotto casa, il suo lavoro mi ha sempre affascinata». Un sogno a cui non era disposta a rinunciare.

Generazioni a confronto

Quando il medico faceva 80 ore la settimana

Entro il 2025 il numero di diplomi in medicina rilasciati dagli atenei elvetici dovrà essere di circa 1’300 l’anno. È quanto ha deciso Berna 7 anni fa investendo nella formazione di più curanti. Erano 999 nel 2016 e 1’118 nel 2021. L’incremento c’è ma è ritenuto di gran lunga insufficiente. Solo nel 2021 sono stati riconosciuti 2’736 diplomi esteri (in testa Germania, Italia, Francia, Romania e Austria). Tra i nuovi diplomati in Svizzera, il 59% sono donne e l’età media è di 27 anni. Quella di medico sta dunque diventando una professione sempre più femminile. In molti casi significa tempi parziali per gestire lavoro e famiglia. C’è poi un aspetto generazionale, i ‘millennials’ hanno rivoluzionato la scala di valori: la professione non primeggia su tutto. «In passato, fare il medico era quasi una missione, si lavorava in media 80 ore la settimana. Oggi i giovani medici, sia in ospedale, sia in uno studio, lavorano per vivere e non il contrario. Sono disposti a fare 40 ore», precisa il professor Ghielmini. Considerando queste nuove variabili, per fare lo stesso lavoro, c’è bisogno di più professionisti. «Ma dobbiamo formarli tutti».