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‘I disabili vanno protetti meglio da abusi e maltrattamenti’

Le vittime spesso non vengono credute, mentre gli abusatori sono manipolatori. Ostacolarli è possibile con misure mirate. La parola agli esperti

Le vittime spesso non vengono credute, mentre gli abusatori sono manipolatori. Ostacolarli è possibile con misure mirate. La parola agli esperti

13 giugno 2022
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Il potere cambia le persone, spesso non in meglio. Quando c’è un rapporto di forte dipendenza, come tra una persona disabile e il suo curante, il rischio di abuso (purtroppo) è molto alto, soprattutto in sistemi chiusi, con gerarchie autoritarie. È fuori dubbio che la struttura organizzativa di un istituto influisce sul rischio di avere o meno un predatore sessuale che si aggira indisturbato tra persone indifese. Le cifre sono drammatiche: due terzi delle donne e 50% gli uomini con disabilità sono vittime di violenza sessualizzata (studio Zemp et al. 1996). Cifre confermate da studi successivi. Sono fotografie agghiaccianti che lasciano intuire, quanto la vigilanza nelle strutture dovrebbe essere alta. Ma lo è davvero? «Purtroppo si fa ancora troppo poco. C’è molto da fare», ci risponde Yvonne Kneubühler che dirige a Zurigo l’istituto Limita per la prevenzione dello sfruttamento sessuale. Da 25 anni l’associazione lavora con diverse istituzioni della Svizzera tedesca anche quelle che si occupano di assistenza alle persone disabili, fa istruzione, aiuta a sviluppare concetti di protezione. «Se le situazioni di rischio vengono identificate, le persone vulnerabili possono venire meglio protette da norme negoziate insieme al team. Si arriva ad avere un codice di comportamento standard che non deve rimanere solo sulla carta».

La sessualità è stata per molto tempo un argomento tabù, ora sempre più istituzioni devono affrontare una doppia sfida: dare spazio all’autodeterminazione sessuale, ma allo stesso tempo proteggerli. Un abusatore non può essere identificato prima di commettere il reato, ma si possono creare ostacoli che gli rendono difficile passare all’atto. Il 44% delle persone residenti in strutture hanno detto di essere state vittime di violenza sessuale (studio austriaco Mayrhofer et al. 2019). «Gli abusanti sono spesso curanti ma anche altri disabili. Ciò rende ancora più importante il lavoro di prevenzione proattiva e le misure concrete di prevenzione diretta e istituzionale», precisa l’esperta.

Perché i disabili sono più a rischio di abuso sessuale?

Per tanti motivi, soprattutto per il forte rapporto di dipendenza col curante. Il disabile si fida di chi lo accudisce quotidianamente, lo aiuta in ogni spostamento, nella cura del corpo. Talvolta la fiducia è tale da inibire ogni segnalazione. Altre volte il disabile fatica a comunicare per handicap cognitivi. Per chi è seguito a domicilio, i contatti sociali possono essere limitati.

Come mai abusatori e pedofili arrivano a lavorare coi disabili? C’è poco controllo?

Il problema è capire chi ha queste intenzioni. Talvolta sono i meno sospettabili, persone molto ben integrate nella vita sociale della vittima all’interno e all’esterno dell’istituto. Usano questa vicinanza in modo mirato. Fa parte della loro strategia. È difficile percepire lo sfruttamento sessuale senza un’adeguata formazione. Avere un codice di comportamento aiuta ad avere regole chiare e condivise nell’affrontare varie situazioni di rischio, a riconoscere situazioni che deviano dagli standard fissati e agire per tempo.

La giusta vicinanza ma anche la giusta distanza: un tema fondamentale per chi lavora coi disabili, ma vi sono molte sfumature. Ad esempio: quando abbracciare, toccare una persona corrisponde a un abuso?

Il tema della vicinanza è centrale, ogni istituto deve affrontarlo, capire in quali situazioni la vicinanza è importante, come comportarsi, arrivando a definire nel dettaglio che cosa fare in quale situazione. Ad esempio, una persona può essere confortata dalla vicinanza fisica, ma anche dall’affetto verbale o da un’attività condivisa. Si deve scegliere la forma più adatta alla situazione, all’età e alle esigenze della persona. Avere regole chiare, protegge i clienti degli istituti e fornisce paletti chiari a chi ci lavora. Una doppia sicurezza.

In che modo la famiglia di un disabile in istituto può assicurarsi che il proprio caro non è oggetto di attenzioni sessuali?

Il primo passo è chiedere all’istituto di vedere il codice di comportamento per i dipendenti. Va poi chiarito a chi rivolgersi in caso di segnalazioni. È bene osservare se questo professionista di riferimento, è formato o meno, se è presente nella struttura. Purtroppo pochi istituti hanno queste figure per motivi di risorse. In caso di sospetto o fondato sospetto di reato, si può rivolgersi alla polizia per sporgere denuncia.

Si fa abbastanza?

C’è molto da fare in Svizzera. Molto dipendete dalla volontà della direzione di un istituto di dare priorità e fondi per la protezione. I Cantoni investono pochi soldi per la prevenzione. È fondamentale che le istituzioni riconoscano l’urgenza di misure preventive, agiscano di conseguenza e sviluppino concetti di protezione.

Il profilo dell’abusante

Gli aggressori sono abili manipolatori

Nelle strutture per disabili vigono disposizioni vincolanti relative ai rapporti tra ospiti e operatori. Questi ultimi le conoscono e le rispettano. Purtroppo le regole possono essere aggirate facilmente come ha dimostrato il caso più grave di pedofilia mai scoperto in Svizzera: l’operatore sociale bernese accusato di aver abusato di 124 bambini e disabili, nell’arco di 30 anni di carriera, alle dipendenze di nove strutture per disabili tra Berna, Appenzello, Argovia e Sud della Germania. È stato scoperto nel 2011 grazie alle testimonianze di due ragazzi disabili. Sceglieva le vittime con cura, di regola prediligendo chi faticava a esprimersi. Agiva durante la sorveglianza notturna o l’igiene intima. L’uomo allora 56enne aveva ammesso i fatti. Non aveva precedenti per delitti di ordine sessuale, ma era già stato accusato nel 2003 da una 13enne disabile. Data la gravità dell’handicap di cui soffriva la giovane, nessuno le aveva creduto. La credibilità delle vittime è un grosso problema. Spesso la loro parola vale poco. Anche perché l’abusante è spesso un abilissimo manipolatore. «La manipolazione spesso non può essere smascherata, ma si può intralciarla, renderla più difficile», precisa Yvonne Kneubühler.

Cosa succede nella mente dell’abusatore

Il profilo del predatore sessuale e le tecniche di come passa all’atto sono state studiate dai ricercatori. Ci sono tratti comuni tra questi pedofili. «Sono spesso persone con un forte legame con la vittima, la sanno confondere, manipolano lei e tutto l’ambiente circostante. Sono amati dai colleghi e dai capi, sono ben inseriti, nessuno penserebbe a loro come abusatori. Scelgono con cura la potenziale vittima e un contesto di lavoro che gli permette di fare ciò che vogliono», precisa l’esperta. Stiamo parlando soprattutto di uomini ma ci sono anche casi di donne che abusano di indifesi.

Il 60% usa il sesso per esercitare potere

Nella loro mente, spiega l’esperta riferendosi al modello del riceratore D. Fineklhor (1984), tutto inizia con fantasie sessuali sul disabile; in una seconda fase vanno trovate giustificazioni per ‘aggirare’ le norme sociali interiorizzate; poi scatta la pianificazione dell’aggressione sessuale. Il 40% ha tendenze pedofile, il 60% soffre di altri disturbi mentali e strumentalizza la sessualità per esercitare potere.

L’associazione dei disabili

Indispensabile un codice di comportamento

«Avere un codice di comportamento è un segno di qualità, lo mostriamo con orgoglio ai clienti e ai loro familiari». Procap Svizzera, la principale associazione svizzera di aiuto per persone disabili (conta 23mila soci) ha messo a punto negli ultimi anni, con l’aiuto di Limita, un nuovo concetto di prevenzione e azione su abusi e molestie sessuali. C’è anche un nuovo codice di comportamento. Lo devono sottoscrivere tutti i 2’600 volontari che partecipano a campi di vacanze, attività sportive, culturali e culinarie. Così si impegnano a partecipare attivamente ad una politica di tolleranza zero. C’erano già delle norme, ora sono state aggiornate. «Abbiamo chiarito i ruoli, come fare prevenzione, come affrontare le situazioni a rischio, le crisi, le denunce, nell’ottica di una totale trasparenza e una politica di tolleranza zero», spiega Helena Bigler responsabile nazionale dei soggiorni e delle attività sportive nella sede principale ad Olten. L’associazione è organizzata in sezioni regionali (una è anche in Ticino).

Dalle docce agli abbracci, niente tabù

Ci aiuta a capire che cosa è il manuale del buon comportamento: «Abbiamo riassunto molte situazioni quotidiane, potenzialmente a rischio e per ciascuna spieghiamo come comportarsi. Come ad esempio nelle docce degli spogliatoi ma anche quando si deve consolare una persona». Il rischio è forse quello di perdere in spontaneità con tutte queste regole. «I volontari hanno bisogno di standard, di esempi concreti con cui confrontarsi. Li stimoliamo a riflettere sulla loro posizione di potere, li invitiamo a parlare con la persona disabile, ad essere trasparenti. Vogliamo costruire una politica del feedback, perché occupandosi di persone disabili, ci si trova spesso in situazioni delicate ed è bene condividere l’esperienza, per sapere come reagire. Non deve essere un tabù».

Chiediamo l’estratto casellario giudiziale

Firmare un codice di comportamento è un passo, ma basta per stare tranquilli? «Il rischio zero non esiste. Abbiamo il feedback dei clienti, dei responsabili del corso. Quando c’è un sospetto si valuta e agisce». Non sempre i nodi vengono al pettine: talvolta la vittima non riesce ad esprimersi o non viene ascoltata mentre l’aggressore è un ottimo manipolatore. «Rispetto agli istituti, forse per noi è più semplice, perché organizziamo gite e corsi di una o due settimane. A chi li organizza, chiediamo professionalità, ad esempio dopo le attività non continuare a frequentare i clienti, se lo fanno, devono avvisare l’istituto. Inoltre a chi lavora con noi chiediamo di presentare l’estratto del casellario giudiziario». La responsabile dei corsi si è già confrontata in passato con due casi di sospetta molestia sessuale durante soggiorni di vacanza organizzata da Procap Svizzera. Nei due casi le denunce sono cadute.

Myriam Caranzano di Aspi

Se un genitore ha un sospetto deve parlarne

La fondazione Aspi (per l’aiuto, sostegno e protezione dell’Infanzia) da anni in Ticino fa prevenzione contro maltrattamento e abuso sessuale. «Abbiamo fatto prevenzione in vari istituti che lavorano con la disabilità, ma anche formazioni col Gruppo operativo "Cura e qualità di vita negli istituti" (GO3), con educatori sia dei maggiorenni sia dei minorenni» spiega Myriam Caranzano, consulente Aspi. Maltrattamento e violenza sessuale non sono tabu, vengono tematizzati. «Diverse strutture fanno sensibilizzazione e si sono date dei protocolli per minimizzare i rischi», precisa.
Non solo prevenire il peggio ma promuovere anche il meglio. «Ci siamo focalizzati sul buon trattamento, su come promuoverlo, purtroppo i corsi sono stati interrotti dalla pandemia», precisa.
Quando un bambino è gravemente disabile, è difficile capire se ha subito maltrattamenti. Per un genitore diventa davvero difficile. «Serve la massima trasparenza. Se un genitore ha un sospetto, se ad esempio suo figlio reagisce in modo strano o riporta fatti strani, è opportuno parlarne con gli educatori, con la direzione, a volte con altri servizi specializzati che dovranno
indagare». Infatti nei casi di abuso c’è una costante: il segreto, tutto viene occultato. «Senza fare una caccia alle streghe occorre parlarne e cercare spiegazioni. Magari è una banalità, magari c’è dell’altro».

Non bisogna aver paura di un abbraccio

Come dimostra il recente caso di maltrattamenti al foyer per bambini autistici a Ginevra è ancora troppo facile abusare del proprio potere, imponendo il silenzio: 4 dipendenti della struttura sono indagati per aver somministrato ad un residente medicamenti non prescritti e aver così messo in pericolo la sua salute. «Fa riflettere quanto a lungo sono durati i maltrattamenti». Eppure troppe regole e codici non rischiano di congelare gesti di affetto in relazioni professionali: «Le regole devono essere sensate e applicate con buon senso. Non dobbiamo ad esempio avere paura dei gesti di affetto, come abbracciare un bambino o un disabile, a condizione che sia una risposta ad un bisogno di questa persona e non dell’educatore. Va anche fatto nel rispetto del proprio ruolo e ovviamente mai nelle parti intime della persona».

Il caso

Le dodici linee guida di Basilea Città

La prevenzione degli abusi sessuali sulle persone disabili è efficace se autorità, polizia e servizi sociali remano tutti nella stessa direzione e sono in rete fra loro. Basilea città ha stilato 12 linee guida, lo scorso 2019, definendo prevenzione e procedure per gli istituti che si occupano di disabili. Dirigenti e personale che promuovono la trasparenza, contribuiscono a prevenire le aggressioni. Le istituzioni devono avere un codice di condotta: va firmato dai dipendenti, che così si impegnano a rispettare le norme in materia di situazioni sensibili (standard professionali) dell’istituzione. Questo include anche un auto-impegno a dire se viene aperto un procedimento penale. Basilea ha anche fissato l’obbligo di controllare gli estratti del casellario giudiziario per tutte le assunzioni. Serve anche l’estratto specifico per privati che fornisce informazioni riguardo l’interdizione a una professione, attività o contatto con minori o altre persone vulnerabili. Per gli stranieri serve il casellario giudiziario estero. Al capitolo assunzione si specifica poi che il tema della violenza sessuale dovrebbe venir affrontato direttamente e apertamente.