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La manna e la mannaia

(Ti-Press)
15 gennaio 2025
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Con un leggero ritardo sui tempi canonici delle festività natalizie, anche in Ticino è arrivato il regalo della Confederazione: dal cielo è così caduta, quasi inattesa, la manna di un’ottantina di milioni che deriva dagli utili della Banca nazionale svizzera per il 2024. Possiamo dunque tirare un sospiro di sollievo, come ci dice il ministro delle Finanze Christian Vitta? Beh, sì, ottanta milioni sono sempre meglio di un calcio negli stinchi. Ma dopo quel sospiro, che farà la nostra classe politica? Per intanto, stando alle prime reazioni ed esternazioni, ciascuno continua pervicacemente (coerentemente è forse troppo dire) a fare il proprio verso e a reiterare vecchi mantra: da una parte si accentua la scarsa consistenza del regalo per dire che siamo sempre in situazione di emergenza e urgono comunque i tagli; dall’altra si prende la cifra come rivelatrice di una situazione tutt’altro che disperata, che conferma ulteriormente quanto fossero inique certe richieste di risparmio sul preventivo. Da una parte, insomma, siamo alle firme per tagliare il 10% dei posti nell’amministrazione cantonale, mentre dall’altra si accredita ulteriormente la necessità di dar voce e consistenza al referendum contro i tagli ai sussidi per i premi di cassa malati.

Del resto, a menare il gesso (o il torrone) sono poi sempre gli stessi, quelli che in governo si parlano a fatica e che in parlamento passano il tempo a calcolare cosa sia meglio dire (possibilmente senza scontentare chi li ha messi lì): insomma, un cacofonico silenzio. Il periodo che stiamo vivendo, così pieno di incognite, di domande inevase, di questioni irrisolte, è frutto di una politica che dalle nostre parti, per dirla con un osservatore tutt’altro che controcorrente come Gianni Righinetti, spicca per avere un esecutivo capace solo di “amministrare l’esistente e l’ordinario” e un legislativo “fatto di deputate e deputati deboli” di fronte alla “presunta forza dei due rompiscatole dell’Mps”: un quadro, quello dipinto dal vicedirettore del Cdt, che a dire il vero dovrebbe indurre lui stesso per primo, forse, a tirare qualche conclusione diversa da quella di legittimare quello stesso vuoto pneumatico (della maggioranza parlamentare e governativa) cavalcando la solfa dei privilegi del settore pubblico, incapace di diventare “azienda”, come vorrebbero Marchesi, Pamini e codini di varia natura in cerca di rubinetteria britannica sgocciolante.

Se poi, come lo stesso Righinetti lascia intendere, un rinfoltimento dell’apparato statale, dei “funzionari” per intenderci, è il frutto del tirar giacchette, dunque il risultato di una politica eminentemente clientelare, appare poi inutile venire a parlare di “modello aziendale per lo Stato” come alternativa, anche se oggi, dietro alle firme per la riduzione del personale pubblico, stanno anche le insegne padronali, di società e aziende che per prime sono regolarmente omaggiate di particolari attenzioni con aiuti puntuali e costanti sgravi fiscali.

Fra la manna (congiunturale o strutturale, chissà) servita su un piatto d’argento in questi giorni e la mannaia brandita da chi continua a parlare di settore pubblico come di una palla al piede, potrebbe essere questo il momento in cui qualcuno provi a pensare di prendere fiato e immaginare possibili scenari che abbiano qualche maggior respiro. Certo, ci sono le “emergenze” come quella della Vallemaggia, su cui doverosamente si deve intervenire. Ma andrebbero soprattutto compiuti almeno un paio di passi indietro, come quando si prende la rincorsa, per guardare ai prossimi anni finalmente “in prospettiva”, per pensare agli interessi di una popolazione che si sta drammaticamente impoverendo e che ha bisogno di progetti elaborati per una crescita sociale collettiva, di “investimenti” che non siano solo risposte all’economia privata che bussa a denari appena può, e non siano solo ed esclusivamente considerati “spese”, ma un pegno che si consegna alle prossime generazioni. È il Cantone come entità pubblica cui fa riferimento una comunità, a dover essere l’oggetto delle priorità economiche poste dalla politica; una comunità che saprà anche produrre un Pil confortante, ma che è governata da chi sta perseguendo, in suo nome, una strategia che impoverisce, anno dopo anno, ampi strati di popolazione. Troppo facile dar sempre la colpa a fattori esterni, creare colpevoli che diventano nemici, che siano gli “statali” o gli “stranieri”. Così si rischia la deriva, il naufragio.