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L’incerta stagione della diplomazia alberghiera

Fra gli addetti ai lavori, la figura dell’intermediario cui affidare un messaggio o una proposta di accordo viene chiamato “piccione”. Alla luce della disponibilità del nostro Paese, lanciatosi nell’organizzazione della “Conferenza d’alto livello sulla pace in Ucraina”, verrebbe da pensare forse al suo sinonimo di “ingenuo” o “credulone”.

L’iniziativa, attribuita a Zelensky stesso, è da subito partita zoppa per l’assenza, pare imposta o magari data per scontata, di un interlocutore russo. Ma, alla luce della sua conclusione, forse ancora più negativa s’è rivelata l’assenza della Cina e, a cascata, la non partecipazione dell’India e la retromarcia sul documento finale degli Stati del Golfo e della Giordania. Tutti Paesi che, direttamente o indirettamente, avrebbero potuto aprire qualche finestra diplomatica verso una soluzione del conflitto. Resta la speranza ch’essi, Arabia Saudita in testa, si siano voluti in tal modo posizionare per un ruolo di mediatori futuri verso i Russi.

Il “Comunicato” del Bürgenstock – approvato in conclusione comunque solo da 78 delegazioni su 92 – è senz’altro più realistico della richiesta, la vigilia, di capitolazione dalla Russia, ma risulta comunque molto riduttivo rispetto al problema sul tavolo. Come non accordarsi sul ritorno dei prigionieri e dei bambini deportati, la protezione dei siti atomici e le forniture alimentari? Già l’ultimo punto del testo (sui dieci della “formula per la pace” di Zelensky) deve aver richiesto molti aggiustamenti: il “rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità di tutti gli Stati”. Chiaramente meno della risoluzione votata dall’Assemblea dell’Onu, che richiedeva anche “la cessazione delle ostilità e il ritiro immediato, completo e incondizionato delle forze militari russe”. Se l’obiettivo di fondo era quello di creare i presupposti per una “vera” conferenza di pace con la partecipazione della Russia, le posizioni rimangono comunque largamente inconciliabili.

Quando l'avversario diretto è stato irriducibilmente discreditato davanti alla propria opinione pubblica e sulla scena internazionale come in questo conflitto, la soluzione diplomatica potrebbe trovarsi altrove: il ricorso a un gruppo di mediatori, accettati d’ambo le parti, dotati di un sostanziale potere d’apprezzamento e un’autonomia di proposta. Il nostro Paese potrebbe ora candidarsi a questo nuovo ruolo, che non necessiterebbe del riconoscimento, da parte della Russia, del suo statuto di “Stato neutrale” – ritenendola ormai completamente appiattita sulle posizioni “occidentali” – e rappresenterebbe anche un’offerta di “buoni uffici” diversa da quella, non più proponibile, di rappresentanza degli interessi ucraini, da subito respinta da Mosca.

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